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Ungheria: accuse di revisionismo per il nuovo museo dell'Olocausto

Montano le polemiche in Ungheria sull'inaugurazione del nuovo museo dell'Olocausto di Budapest, nel quale non vengono menzionate le responsabilità dei governi ungheresi dell'epoca nello sterminio degli ebrei

Ungheria: accuse di revisionismo per il nuovo museo dell'Olocausto

Da qualche tempo numerose polemiche stanno imperversando in Ungheria in merito all'apertura del nuovo museo dell'Olocausto di Budapest, voluto dal governo del Primo Ministro Viktor Orbàn. Il memoriale, che si chiamerà Casa dei Destini e che secondo i piani verrà inaugurato ufficialmente il prossimo anno in occasione del 75esimo anniversario della deportazione degli ebrei ungheresi, è stato infatti fortemente criticato da alcune organizzazioni ebraiche per il suo minimizzare il ruolo dei governi ungheresi dell'epoca e della popolazione civile durante la tragedia dell'Olocausto, addossando le responsabilità degli avvenimenti esclusivamente sulla Germania nazista. In merito a ciò, il direttore della biblioteca dello Yad Vashem - l'Ente nazionale israeliano per la memoria della Shoah - Robert Rozett ha avuto modo di dichiarare il mese scorso: "Per come è stato progettato il museo evita accuratamente di affrontare il ruolo e la responsabilità dei leader ungheresi del periodo in merito alle condizioni di vita degli ebrei presenti nel Paese, ed al loro successivo abbandono nelle mani dei nazisti. È come se implicitamente si volesse dire che l'Ungheria sia stata un nazione soccorritrice di ebrei, ma questa è una grave falsificazione della storia".

Critiche al progetto, costato complessivamente 28,1 milioni di dollari, sono giunte anche a causa dei quasi cinque anni trascorsi dal completamento dell'opera - nel 2014 - alla sua effettiva inaugurazione; un ritardo accumulatosi per via del rifiuto della Federazione delle Comunità Ebraiche Ungheresi (Mazsihisz) e dello stesso Yad Vashem di collaborare con il governo di Budapest. Le due organizzazioni si opponevano infatti alle dichiarazioni della storica dell'Olocausto Mária Schmidt e del Capo di Gabinetto del governo Orbàn Gergely Gulyás, che hanno più volte equiparato gli orrori del nazismo a quelli del comunismo sovietico. La Schmidt, già direttrice dal 2002 della "Casa del Terrore" di Budapest (l'edificio-memoriale che ospitò i quartier generali delle polizie politiche prima nazista e poi comunista) e considerata vicina al Primo Ministro Orbàn, aveva in passato considerato i crimini nazisti in Ungheria non peggiori di quelli perpetrati dal comunismo mente Gulyás, ai microfoni dell'agenzia di stampa Mti, ha dichiarato nella giornata di ieri: "Gli orrori delle dittature naziste e comuniste del XX secolo non devono mai essere dimenticati. Il fatto che gli ebrei d'Ungheria siano stati spediti nei campi di sterminio dopo l'invasione tedesca del 19 marzo 1944 non assolve lo stato dal crimine di non aver protetto i suoi cittadini. Non c'è colpa collettiva, solo responsabilità statale".

Successivamente, nello stesso intervento, Gulyás ha annunciato che malgrado il rifiuto della Mazsihisz di collaborare con il nuovo museo il governo è riuscito a trovare un appoggio nella rivale Congregazione Unificata degli Ebrei Ungheresi (Emih), un'organizzazione affiliata al movimento ebreo-ortodosso Chabad Lubavitch, la quale ormai da qualche anno ha visto aumentare le distanze con la Mazsihisz a causa delle posizioni ostili assunte da quest'ultima in merito all'operato del governo conservatore di Orbàn. Nel 2014 infatti, come riportato anche dal Times of Israel, la Mazsihisz ruppe i rapporti con l'esecutivo ungherese dopo l'inaugurazione del monumento alle vittime dell'occupazione nazista, nel quale era raffigurata un'aquila (simbolo della Germania nazista) nell'atto di attaccare un arcangelo (uno dei simboli storici dell'Ungheria), asserendo come ciò inducesse a credere che il Paese fosse stato esclusivamente una vittima della violenza nazista piuttosto che un collaborazionista. In quell'occasione la Mazsihisz fece riferimento ai 437 mila ebrei ungheresi che nel 1944 - a seguito dell'invasione tedesca dell'Ungheria - vennero deportati ad Auschwitz in sole otto settimane sotto i governi di Miklós Horthy e di Ferenc Szálasi, quest'ultimo leader del partito filonazista delle Croci Frecciate.

Commentando gli attacchi della Mazsihisz, il rabbino capo dell'Emih Slomó Köves ha dichiarato: "Alcuni hanno scelto il percorso più facile, protestando o offendendosi, mentre altri hanno scelto di lavorare insieme per raggiungere un obiettivo comune. Dobbiamo guardare a ciò che viene fatto e non chi lo sta facendo. Il gesto dello stato di costruire un museo dell'Olocausto che verrà poi affidato alla comunità ebraica rappresenta un invito alla cooperazione". In riposta a ciò e alla scelta del governo di avvalersi della collaborazione dell'Emih, il portavoce della Mazsihisz Andras Heisler ha di conseguenza affermato: "La decisione del governo è stata una delusione. Questa non era la promessa fatta che ci era stata fatta e che era stata fatta al governo israeliano. Vogliamo che sia chiaro in modo inequivocabile che nessun governo al mondo può decidere chi ha il diritto di rappresentare una comunità religiosa. L'Emih non rappresenta gli ebrei ungheresi".

Un'ulteriore gatta da pelare per il presidente Viktor Orbàn, che già più volte in passato è stato accusato dai suoi avversari politici di fomentare l'antisemitismo nel Paese, come quando l'anno scorso tappezzò la capitale Budapest con centinaia di manifesti contro il miliardario George Soros -nato in una famiglia ebreo ungherese- e la sue idee a favore dell'immigrazione.

Lo stesso Orbàn questo mese ha peraltro annunciato in parlamento che l'apertura ufficiale del museo potrebbe slittare ancora, almeno fino a quando non cesseranno completamente le polemiche attorno ad esso.

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