Controcorrente

Nel laboratorio dei visionari del cibo

Nel laboratorio dei visionari del cibo

No, tranquilli, nel futuro non ci nutriremo con le pillole. In tavola avremo l'immancabile piatto di pasta al ragù. Solo che la pasta sarà fatta con la farina di grilli (o di legumi) e il ragù sarà un macinato di cavallette, iperproteiche. A studiare le ricette di domani sono i ricercatori del Future food institute di Bologna, laboratorio creativo in cui transitano le novità di tutto il mondo in tema di alimentazione.

I futuri manager del cibo - una squadra di 14 studenti fra i 22 e i 47 anni provenienti da 12 Paesi diversi - nel master organizzato dall'università di Modena e Reggio analizzano i casi delle aziende internazionali più innovative (da quelle che propongono l'uovo finto a quelle che «trasformano» i pomodori essiccati in pesce), tratteggiano nuove prospettive e cercano di impostare le basi per riportare su binari sani le nostre abitudini alimentari.

Siamo andati a vedere dove nasce il cibo delle prossime generazioni e fa un certo effetto scoprire che viene messo a punto proprio nel cuore della Bologna più antica, all'interno della scuderia medievale, oggi sede universitaria. Lì per lì sembra persino una contraddizione sapere che si progetta un'alternativa alla pasta proprio nella patria della tradizione culinaria italiana, nel luogo dove le braccia forti delle nonne che impastano tortellini e tagliatelle è un patrimonio da tener caro.

«Ma non c'è nessun contrasto fra tradizione e innovazione - ci spiega Andrea Magelli, fondatore della Food valley italiana assieme alla moglie Sara Roversi -. Del resto, sia il parmigiano reggiano sia la mortadella, prodotti tradizionali dell'Emilia, sono innovazioni ben riuscite di una volta. Facciamo l'esempio del ragù: ci stiamo impegnando perché nel mondo, dove lo imitano ovunque in malo modo, si rendano conto che la ricetta originale è bolognese e vogliamo proteggerla. Ma allo stesso tempo siamo aperti alle nuove declinazioni di ragù, ad esempio quello fatto con gli insetti. Del resto, dobbiamo renderci conto che le emergenze ambientali non sono fantascienza, ma problemi che non possiamo più rimandare. Quindi è fondamentale trovare fonti sostenibili e alternative. Alternative, ad esempio, agli allevamenti di bestiame, responsabili di una grossa percentuale dell'inquinamento». Da qui nasce l'idea dei due imprenditori del cibo di mettersi al lavoro per studiare cosa finirà nei frigoriferi del futuro e come ci finirà. Sull'esempio dell'Institute for the future di Palo Alto hanno avviato un progetto no profit anche in Italia, riunendo ricercatori e pionieri del settore. «Abbiamo due certezze - spiega Magelli -. Stiamo andando verso un tipo di alimentazione personalizzata, ognuno in base alle sue esigenze. E non rinunceremo mai né al gusto, né alla convivialità della tavola».

Il frigorifero orto

Una delle tendenze del futuro supera di gran lunga il concetto del chilometro zero. E azzarda addirittura l'idea del metro zero. Cioè: le verdure e le erbette aromatiche verranno coltivate direttamente in cucina. Siamo ancora lontano dall'abbandonare la classica busta di insalata ma i nostri frigoriferi sono destinati a cambiare volto e assomiglieranno sempre di più a mini serre in cui curare rosmarino, pomodori e cicoria, con la luce e la temperatura giuste a ogni ripiano.

Un'azienda finlandese ha appena lanciato in Italia Plantui, un giardino idroponico intelligente (e di design) da piazzare sul ripiano a fianco della dispensa e da cui ricavare ciuffetti di insalata nell'arco di una decina di giorni. E chi non avesse ancora ben chiaro il concetto di idroponica, è bene che si informi: il futuro delle nostre scorte alimentari si basa proprio su quello, cioè sulla coltura delle verdure al di fuori del terreno con un sistema di irrigazione indipendente. Tanto che il concetto potrebbe dar vita anche a orti sui tetti dei condomini, per il sostentamento di una decina di famiglie, o addirittura sui tetti dei supermercati.

La città autosufficiente, che da noi è ancora solo immaginazione, a Hong Kong, dove il terreno attorno alla città è fortemente contaminato, è già una realtà consolidata. Così come in alcune scuole del Bronx che stanno creando orti sui tetti degli istituti per insegnare ai ragazzi a coltivare. Anche alcuni ristoranti e supermercati di Berlino hanno aderito alla nuova tendenza. È infatti tedesca una delle principali aziende del settore, la «InFarm», che ha creato un sistema di coltivazione verticale al chiuso in cui, in poco spazio, si possono far crescere oltre 1200 piantine. «In questo modo - spiega Simona Grande, tutor del master di Bologna - si risolve anche il problema della logistica e del trasporto degli alimenti, costoso in termini di traffico, spese di conservazione e inquinamento».

Altra declinazione del cibo fai-da-te è quella dei funghi nati dai fondi di caffè: «Funghi Espresso» è una start up fiorentina aperta dal 2013 che ha messo sul mercato il kit per autoprodurre funghi in casa e per educare all'idea che tutto si può riciclare. Una delle materie di studio su cui lo staff di Bologna si concentra di più riguarda le proteine. La sfida più urgente è trovare fonti alternative alla carne.

Le nuove fonti

Oltre al burger vegetale e a quello realizzato in laboratorio grazie alle cellule staminali, l'alternativa principale è nascosta negli insetti. Nelle Coop in Svizzera sono già in commercio una serie di prodotti da forno a base di farina di grilli e a Torino è nata l'azienda «Crické» che al momento vende all'estero, soprattutto a Londra, ma è in attesa di sbarcare anche nei nostri supermercati. Dall'inizio del 2018 anche l'Italia ha recepito il regolamento europeo che apre alla vendita e alla produzione di insetti per la cucina. Un business che potrebbe generare un nuovo mercato e di sicuro una serie di idee. Per ora sono in vendita i cracker di grilli, gli snack alle cavallette e magari recepiremo anche la moda californiana di sgranocchiare gli insetti al cocco o al cioccolato lanciati dalla catena «Don Bugito». E gli schizzinosi ricordino che è un attimo che in Italia attecchiscano le mode del fast food americano. Già lanciati nel mercato con vari prodotti on line, dai bachi ai lombrichi, sono i gemelli Bozzaotra, titolari della società «Insetti commestibili» di Monselice (Padova). Creata da un italiano anche la società «Bugsolutly» che vende fusilli di grilli soprattutto in Oriente. L'azienda «Italbugs», start up al Parco tecnologico padano di Lodi e fondata da Marco Ceriani, ha trovato il modo di riciclare i bachi da seta. Dal loro bozzolo viene ricavata una soffice farina bianca ideale adatta anche per realizzare i panettoni. Altra fonte alternativa del futuro sono le alghe, ricche di zinco e ferro. Non diventeranno ingredienti solo per gli snack ma saranno anche la base dei nuovi cocktail. Prepariamoci, prima o poi, a ordinare al bancone del bar drink alla barbabietola o un bel bicchiere di kombucha, una sorta di tè addolcito e fermentato che nasce da un filtro che contiene una colonia simbiotica di batteri e lievito.

I luoghi del cibo

Ai laboratori di Bologna ci assicurano che il ristorante e le tavolate di amici non tramonteranno mai. Ma le nostre abitudini alimentari stanno cambiando, eccome. Da quando in Italia sono arrivati Foodora, Deliveroo e tutte le società di ordini on line, sono impennate le richieste di sushi e affini nel cuore della notte, soprattutto da parte dei giovani e dei tiratardi. «Analizzando questa tendenza - spiega Magelli - ci siamo resi conto che sta nascendo un mercato parallelo di cucine virtuali, con nuovi brand che vendono esclusivamente on line e hanno aperto solo centri di cottura per cibo d'asporto senza insegna né sala ristorante».

Il cibo a domicilio ha mille declinazioni in tutto il mondo. Uno dei modelli allo studio dell'équipe italiana è quello di Mumbai. La società «Dabbawala» (letteralmente «colui che porta il cibo») è un precursore di Foodora che però ritira i piatti di casa in casa e li consegna, con una flotta di biciclette, a chi ne fa richiesta, soprattutto impiegati che negli uffici vogliono mangiare come in famiglia.

E chissà che da un modello logistico così perfetto come quello indiano nasca un'idea da sviluppare anche in Italia.

Commenti