Controcultura

Lo show di Renzi è paleotelevisione (e paleopolitica...)

Ha rispolverato persino l'outfit dei bei tempi andati, sullo stile del suo mito Obama, la camicia bianca con le maniche arrotolate e il chino coloniale. Ha riprovato a metterla sull'empatia (simpatico non lo è, a pelle, e la voce gracchiante non lo aiuta) tentando di scaldare il suo pubblico con quel senso di appartenenza di chi ha letto, studiato, visto bei film, proprio come quelli seduti in platea ad applaudire come nei reality. Ha ripreso il gusto che intuì molti anni prima di lui Walter Veltroni nel mescolare cultura a politica per un prodotto pop che allontanasse definitivamente la vecchia identità del fu Partito comunista, con le figurine e le videocassette distribuite insieme a l'Unità. Alla Leopolda 9, la sua creatura in mesto declino, Matteo Renzi ha trasformato il set del dibattito in un mini show con Paolo Bonolis, gran professionista dell'intrattenimento: l'evento televisivo della settimana di cui molto si è discusso, anche se le opinioni critiche hanno nettamente prevalso. Aspri i commenti: la fine di un'epoca, l'ultimo guizzo di chi non sa più a che santo votarsi. Di Ritorno al futuro c'è solo la sagoma dell'auto di Doc.

Detto ciò, non riusciamo a considerare l'ex segretario del Pd, l'ex primo ministro, l'ex promessa della politica italiana che avrebbe potuto mettere d'accordo le fasce moderate del Paese, l'ex tutto, come un avversario da combattere. Ben altri sono i problemi oggi, anche rispetto all'uso «politico» della comunicazione, a cominciare dall'inquietante foto al balcone per continuare con quei deleteri proclami che puntano alla pancia invece di farci ragionare.

Questo è un altro discorso. Renzi ha elaborato lo schema salottino di Fabio Fazio, anche nella postura, lui dietro la scrivania, l'ospite alla sua sinistra. Si è provato intervistatore non è il suo mestiere - e ha lasciato parecchio spazio all'esperienza di Bonolis, alternando spunti di comicità facile e prevedibile ai tentativi di tirar su il livello citando Marquez e Debord, Harari e Kubrick. Materiale «nostro», ribadisce più volte, a segnare la differenza tra «noi» e gli altri, noi consapevoli, felici, giusti, gli altri ignoranti, livorosi, sbagliati.

Si vede che non ha tratto alcun insegnamento dall'errore storico che gli ha fatto perdere, in pochi mesi, vantaggio e credito acquisiti. Dividere due mondi, non farli interagire, applicare la logica della contrapposizione, porta solo disastri. Si perde in politica e si perde in tv, possibile che nessuno glielo abbia detto?

Unico tentativo di «scendere» sul piano della realtà, sta nell'insistito ricorso al termine «grande» esclamato con enfasi. Grande il regista, grande il loro amico comune, grande lo scrittore, grande Bonolis e grande pure lui. Troppo poco davvero.

C'è davvero bisogno di reinventare tutto, urgono spunti, idee, talenti.

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