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"Il Campidoglio ha cercato di nascondere il voto"

Il capogruppo di Forza Italia a Roma: «Altro che democrazia diretta. Votare sì per cambiare»

"Il Campidoglio ha cercato di nascondere il voto"

Roma - Sono passati ventun'anni dall'ultima volta che il Campidoglio ha gestito un referendum popolare. Usiamo l'espressione «gestito» perché almeno in questo caso, a differenza di quanto accadde nella primavera del '97, non era proprio nei disegni dell'amministrazione capitolina indire un referendum come quello che si celebra oggi nella capitale. Nel '97 non si raggiunse il quorum. Quindi il quesito proposto dal comitato organizzatore («privatizzare o meno la Centrale del latte?») cadde nel vuoto. Oggi i romani sono chiamati a dare un'opinione. E il tema è quello dei trasporti della capitale. Vale la pena metterli a gara? È il caso di chiedere ai privati di gestire tratte o linee? Tra i partiti schierati per il «Sì» c'è Forza Italia. Ne parliamo con il capogruppo in Campidoglio, Davide Bordoni.

Iniziamo subito dalla questione più diretta: perché votare Sì?

«Perché è di tutta evidenza che il servizio pubblico di trasporti della capitale così com'è ora non funziona. Non è soltanto la percezione dei romani a confermarlo. Bensì sono i numeri a ribadire la bocciatura di questo servizio. Nel 2017, rispetto all'anno precedente una corsa su tre (di quelle programmate) è saltata. Così non si può andare avanti».

In altre città, però, a cominciare da Milano, si spende più del doppio per il trasporto pubblico. Non basterebbe finanziare Atac in maniera maggiore?

«Il Comune ovviamente è proprietario al cento per cento di Atac spa. E finora è sempre intervenuto per aggiustare la situazione e riparare il dissesto finanziario. La condizione, però, è progressivamente peggiorata e anche il Campidoglio non può più provvedere».

E allora cosa servirebbe?

«Un referendum come quello di oggi serve innanzitutto a dare un indirizzo all'amministrazione. Serve a invitare i privati a collaborare nella gestione dei trasporti».

Ci sono Comuni in cui la scelta di mettere a gara il servizio di trasporto cittadino ha funzionato come modello per questo referendum?

«Più che a Comuni dove funzioni il trasporto urbano gestito da privati, penso a privatizzazioni capitoline come Acea. Dove ci sono capitali privati. Una gestione più agile, ma dove il controllo è sempre nelle mani del Comune che detiene il 51%».

Cosa si può fare dopo il referendum?

«La battaglia politica per rendere i servizi di questa città più efficienti continuerà. Si può pensare - e noi già siamo impegnati in questo senso - di far entrare il capitale privato in Atac, che d'altronde è già una spa anche se nelle mani del Campidoglio. Capitali privati e una gestione più elastica ed efficiente potrebbe portare a migliorare le condizioni del trasporto pubblico».

Che giudizio dà della campagna referendaria che si è chiusa ieri?

«Abbiamo fatto il possibile. Ma è stata una gara giocata con un forte handicap. Il Campidoglio ha fatto di tutto per mettere la sordina al dibattito sul referendum. Alla faccia della democrazia diretta, bandiera dei grillismo. Qui di democrazia diretta ce n'è davvero poca».

E se vince il No, che succederà?

«Ovviamente, dal punto di vista politico, tutto rimarrà com'è. Il Movimento 5 Stelle è contrario alla privatizzazione. Ma l'amministrazione ha ora in mano un'azienda pubblica sull'orlo del baratro. Con 12mila dipendenti.

E anche il cambio di tre amministratori delegati in due anni, è un segnale tutt'altro che confortante».

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