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Sbugiardato il piano M5s: il reddito di cittadinanza se lo mangia tutto il Sud

Sbugiardato il piano M5s: il reddito di cittadinanza se lo mangia tutto il Sud

Roma Il Sud beneficerebbe di circa la metà dei 7,1 miliardi stanziati per il reddito di cittadinanza (1,9 miliardi andranno ai pensionati e ai centri per l'impiego, ndr). È quanto emerge da un'analisi del Sole 24 Ore basata sulle statistiche Isee (la dichiarazione per l'accesso agevolato ai servizi pubblici) dal 2016. In particolare il 48,6% dei 2,5 milioni di famiglie con indicatore sotto i 9mila euro (cioè con meno 780 euro mensili di reddito) risiede nel Mezzogiorno, a fronte del 32,4% del Nord e del 19% del centro.

Il sussidio avrebbe un «peso» notevole in realtà come quelle di Crotone dove più di una famiglia su 4 ha Isee molto basso e intercetterebbe 229mila famiglie a Napoli e 100mila a Palermo con un'incidenza del 20,6% in entrambe le due capitali del Meridione. Numeri importanti si registrerebbero anche a Milano (103mila famiglie), Torino (96mila) e Roma (173mila) sebbene la distribuzione sia inferiore a quella del Sud in quanto nelle tre grandi città le dichiarazioni Isee sotto i 9mila euro sono sempre inferiori al 10% del totale.

Il quotidiano economico ha puntato i riflettori sull'equità del reddito di cittadinanza che si appresterebbe a diventare un sussidio per la popolazione meridionale, meno numerosa e in media più povera. C'è anche un altro aspetto da valutare: le Regioni del Sud non hanno solo un reddito pro capite inferiore alla media nazionale, ma hanno anche un problema di maggiore incidenza dell'economia sommersa. Ne consegue che si potrebbe creare una platea di sussidiati dal reddito che lavorano in nero. In base alle statistiche Istat sul lavoro irregolare, infatti, la regione più «a rischio» è proprio la Calabria che nel 2015 registrava 146mila lavoratori in nero e 256mila dichiarazioni Isee. In Campania a fronte di 383mila unità di lavoro irregolari si avevano 627mila dichiarazioni. Idem in Sicilia (312mila in nero e 488mila dichiarazioni) e in Puglia (235mila e 360mila). Se si guarda al tasso di irregolarità registrato dall'Istat nel 2015 (sono gli ultimi dati disaggregati disponibili), non si può non notare una correlazione: in Calabria è «fuorilegge» il 23,2% dei rapporti di lavoro, in Campania il 21%, in Sicilia il 20,6% e in Puglia 17,6. Male anche il Lazio che con il 15,8% è sopra la media nazionale del 13,3%. Tra chi potenzialmente potrà accedere al reddito di cittadinanza, pertanto, ci saranno anche coloro che lavorano in nero che per il 40% si trovano proprio al Sud. Senza contare l'effetto negativo denunciato da Unimpresa secondo cui chi ha un reddito mensile inferiore a 1.000 euro potrebbe accettare di buon grado il licenziamento per accedere al reddito di cittadinanza da 780 euro mensili e continuare a lavorare in nero con il vantaggio di poter percepire un assegno complessivo superiore alla paga regolare. Ma ci sarebbe un vantaggio anche per i datori di lavoro che risparmierebbero dal 30% al 60% sul costo del lavoro a parità di prestazione.

Soprassedendo sulla possibilità che i «furbetti» possano essere invogliati ad accedere al reddito di cittadinanza pur non avendone diritto, restano i problemi di natura finanziaria. Scontata la copertura in deficit della misura, i 7,1 miliardi restanti sono insufficienti per coprire le necessità di quei 2,5 milioni di famiglie censite dal ministero del Lavoro con l'Isee poiché in media spetterebbe loro 2.840 euro annui, cioè 236,66 euro al mese, ben distanti dai 780 euro annunciati dal governo. Insomma, i lavoratori in nero potrebbero sottrarre risorse già insufficienti per risolvere i problemi di povertà delle famiglie in tutto il Paese. Di qui l'ipotesi sulla sua trasformazione in una sorta di incentivo all'assunzione dei giovani disoccupati che si vada a sommare alle decontribuzioni.

Non è un caso che il sottosegretario M5s Stefano Buffagni abbia espresso ieri a Quarta Repubblica la propria preoccupazione «non per una questione di Nord-Sud, ma per la grandezza della misura del reddito stesso: controllare che 102mila famiglie milanesi vadano ai centri per l'impiego e si impegnino a cercare un lavoro è davvero difficile», ha dichiarato aggiungendo che «ci sono molte difficoltà potenziali, ma bisogna lavorarci».

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