Cronaca locale

Beckett secondo Kurtág, prima mondiale alla Scala

Oggi debutta "Fin de partie". L'autore sulla partitura ha lavorato 8 anni. Il regista: "Grande opera di scavo"

Beckett secondo Kurtág, prima mondiale alla Scala

Stasera alla Scala va in scena l'opera più attesa del secolo. Fin de partie di György Kurtág, tra i più importanti compositori viventi: 92 anni, ungherese, una montagna di partiture, ma mai un'opera. Questa, tratta dall'omonima pièce (versione francese) di Samuel Beckett, è la sua prima.

È stato il sovrintendente scaligero Alexander Pereira a convincere il musicista a scrivere un melodramma. Il percorso, che ha il suo sigillo nel battesimo del 15 novembre, è durato quasi otto anni, per via del lavoro di cesello, ma anche per qualche problema di salute, tempi dilatati che hanno accresciuto il senso d'attesa di questo di signor Godot musicale, alla fine arrivato. La prima esecuzione assoluta, poi replicata alla Dutch National Opera, è diretta da Markus Stenz, i quattro personaggi sono affidati a Frode Olsen, Leigh Melrose, Hilary Summers e Leonardo Cortellazzi. Per la regia, Kurtág si è affidato all'amico e collega Pierre Audi, profondo conoscitore dell'opera contemporanea. Ha firmato 41 prime assolute, ma questa - dice Audi - «è speciale, non ho mai fatto un lavoro così approfondito. Abbiamo lavorato come se fossimo in una miniera, intensamente, e ogni volta che pensavamo di essere arrivati in fondo, capivamo che era un'illusione». Fin de partie, espressione del teatro dell'assurdo, è opera concettuale, di natura esistenziale, ma Kurtág le ha conferito «una dimensione emozionale totalmente nuova» hanno spiegato Audi e il direttore Stenz. Il compositore ha seguito fedelmente il dramma originario, pur operando dei tagli (via poco meno della metà dell'originale). S'è concentrato sulle scene chiave, in tutto cinque, con altrettante chiusure di sipario, anticipate da un prologo e chiuse da un epilogo in musica. Tutto accade in un unico spazio, asfittico, «sempre quello ma visto da diverse angolazioni».

Come in Beckett, i personaggi sono Hamm, Clov, e i genitori Nell e Nag. Vivono in uno spazio claustrofobico, sorta di bunker. Hamm è cieco e immobile su una carrozzina, Clov, servo e figlio adottivo di Hamm, al contrario non riesce a sedersi. I genitori hanno perso le gambe in un incidente e vivono in due bidoni dell'immondizia. I rapporti sono controversi, viene condotta un'esistenza che è allegoria di una partita di scacchi condotta da principianti, senza fine dunque. Ma a due minuti dell'epilogo, Hamm ammettere di aver finito la partita, o meglio: di aver «finito di perdere».

In Beckett il finale è ambiguo: ora che la partita è finita, Clov se ne andrà veramente? Nell'opera, gesti e parole sono beckettiani, dunque l'interrogativo è aperto, tuttavia Kurtág dà una sua risposta, l'orchestra si oscura e si fa tragica.

Musica, gesti, colori, tutto promana dalla parola: prioritaria in quest'opera del decano della composizione.

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