Economia

La Borsa vede la guerra e Tim fa -3%

Si scommette sulla salita di Elliott o Cdp. Oggi il comitato nomine, Altavilla in pole

La Borsa vede la guerra e Tim fa -3%

La battaglia riesplosa con la sfiducia all'ad, Amos Genish, da parte del cda, sta costando cara in Borsa ai soci di Telecom. Il giorno dopo la decisione dei consiglieri di Elliott di revocare, con un blitz, le deleghe al manager israeliano scelto dai francesi di Vivendi, riaccendendo lo scontro con il gruppo di Vincent Bollorè, il titolo ha chiuso la seduta lasciando sul terreno di Piazza Affari il 3,1% a 52 centesimi. La caduta delle azioni è stata alimentata dalla reazione degli analisti di Morgan Stanley che hanno tagliato il giudizio su Tim a causa dell'«incertezza» generata sulla società dalla conflittualità in seno al cda e tra i grandi soci. Anche Bernstein ha assegnato un nuovo prezzo obiettivo di 0,4 euro al titolo, oltre il 20% in meno dei prezzi a cui già Tim tratta in Borsa.

Dopo la cacciata di Genish, si legge nel report, Tim è «alla deriva» mentre la sua defenestrazione «conferma le nostre peggiori paure e cioè che le dinamiche del board sono sgradevolmente imprevedibili».

Nelle sale operative ora si attende la contromossa di Vivendi, primo azionista di Tim con il 23,9% del capitale, che potrebbe chiedere di convocare un'assemblea straordinaria per riconquistare il controllo del cda. In vista dell'ennesima sfida tra soci, i broker scommettono su nuovi acquisti da parte del fondo Elliott che potrebbe raddoppiare la partecipazione (ora ha l'8,8%) per assicurarsi la vittoria al voto e favorire l'accelerazione della separazione della rete, come auspicato anche dal ministero del Tesoro. Che schiera in campo la controllata Cdp, azionista con il 4,2% che però non sembra al momento intenzionata ad aumentare la sua quota.

Questa mattina dovrebbe intanto riunirsi il Comitato nomine e remunerazione sulla ricerca del nuovo amministratore delegato. Il nome più probabile, al momento, è quello di Alfredo Altavilla, ex capo di Fca per l'Europa che potrebbe essere però affiancato da uno o più direttori generali, vista la mancanza di esperienza del manager nel settore tlc: tra questi il direttore finanziario, Piergiorgio Peluso, il direttore del business domestico, Lorenzo Forina, il direttore infrastrutture wholesale, Stefano Siragusa, e l'ex ad di Tim Brasil, Stefano De Angelis. Ma c'è anche chi non esclude che Vivendi possa sostenere la candidatura di Luigi Gubitosi, attualmente consigliere in quota Elliott, su cui far convergere il fondo americano. Consentendo così di rinviare lo scontro in assemblea alla riunione di aprile per l'approvazione del bilancio. Domenica 18 si riunirà comunque il board per la nomina del nuovo numero uno del gruppo.

L'obiettivo del cda resta quello di mettere a capo dell'azienda una persona che possa guidare il progetto di separazione della rete dal resto del business, che pare aver trovato un forte supporto politico e una chiara priorità nell'agenda di governo. «Su una ulteriore mossa di Cdp in Tim non posso dare nessuna informazione», ha detto ieri il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, a margine del question time alla Camera ricordando che «l'obiettivo è creare un player nazionale della connettività». Di certo, il fondo Usa di Paul Singer vuole liberare valore mentre il governo vuole accelerare sulla fibra e far uscire dalle secche Open Fiber, che è partecipata al 50% da Enel e da Cdp. Può funzionare, annotano gli analisti, ma resta pura teoria finchè non c'è l'emendamento che introduce il «Rab» («Regulatory Asset Base»).

Ovvero il sistema incentivante attraverso le tariffe per remunerare gli investimenti sulla rete.

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