Economia

Le big Usa "rimpatriano" per fare ancora più soldi

Apple, Microsoft, Alphabet, Cisco e Oracle hanno fatto rientrare 116 miliardi a scopo di buyback

Le big Usa "rimpatriano" per fare ancora più soldi

Il riacquisto di azioni proprie è un vizietto duro a morire tra le big corporation di Wall Street. D'altra parte, Donald Trump non ha fatto nulla per ostacolarlo. Anzi. Nell'ambito della riforma fiscale, l'inquilino della Casa Bianca ha finito per incoraggiare il rientro in patria dei circa 2.000 miliardi di dollari parcheggiati dalle multinazionali Usa in Europa o in altri Paesi del mondo, imponendo sul ritorno all'ovile di questi capitali una tassa del 15%. Un buffetto fiscale teso proprio ad agevolare la transumanza inversa di questo fiume di denaro.

Non è ancora chiaro quanti biglietti verdi siano stati nel complesso rimpatriati, ma nell'edizione di ieri il Financial Times ha messo nero su bianco che i primi cinque colossi tech - cioè Apple, Alphabet, Miscosoft, Oracle e Cisco - hanno usato, nei primi tre trimestri del 2018, 116 dei miliardi riportati all'interno dei confini nazionali per far scattare un'ondata di buyback. La sola creatura di Steve Jobs ha impiegato 62,6 miliardi, un importo quasi triplo rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, per mettere in moto la macchina della ricompra. Solo 14,5 miliardi sono invece stati investiti in conto capitale, ovvero nel rafforzamento e ammodernamento della struttura aziendale. All'appello, quindi, manca ancora una larga fetta dei 350 miliardi di cash derivanti dal tesoretto extra-Usa che la Mela morsicata aveva promesso di reinvestire.

Ciò che, tuttavia, emerge con forza è come il riacquisto di azioni proprie sia stato il complesso vitaminico alla base dei ripetuti record della Borsa di New York fino a settembre. Anche perché non è stato il solo settore tecnologico a usare una pratica vecchia come il mondo per inflazionare il valore dei titoli quotati. Secondo Goldman Sachs, le operazioni di ricompra sono infatti aumentate del 44% quest'anno. E il fenomeno non è destinato a esaurirsi nel 2019, quando i riacquisti saliranno di un altro 22% anche se potrebbero riguardare ancora le 25 aziende che quest'anno hanno assorbito quasi l'ammontare intero dei buyback. Molto dipenderà però dalla tenuta di Wall Street, dove nelle ultime settimane sono stati proprio i titoli tech a soffrire di più la correzione del mercato (-10 il Nasdaq da ottobre a oggi), e dall'evoluzione dei tassi d'interesse.

Di sicuro, malgrado Trump abbia più volte sbandierato come l'intento della riforma fiscale fosse quello di dare un boost all'economia reale, a beneficiare della rivoluzione delle aliquote sembra sia stata ancora una volta più Wall Street che Main Street.

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