Politica

La Consulta e dj Fabo: «No suicidio assistito libero Ma ora serve una legge»

Luca Fazzo

No alla deregulation del suicidio assistito, nessun via libera a un mercato della buona morte in cui «qualsiasi soggetto anche non esercente una professione sanitaria potrebbe lecitamente offrire, a casa propria o a domicilio, per spirito filantropico o a pagamento, assistenza al suicidio a pazienti che lo desiderino, senza alcun controllo sull'effettiva sussistenza della loro capacità di autodeterminarsi, del carattere libero e informato della scelta da essi espressa e dell'irreversibilità della patologia da cui sono affetti». Per questo, la Corte Costituzionale ha rifiutato - per ora - di dichiarare illegittima la norma sulla «agevolazione del suicidio» per cui è sotto processo a Milano Marco Cappato, il radicale che aiutò a morire il disc jockey Fabiano Antoniani. Ma una nuova legge serve, e il Parlamento ha tempo fino a settembre del 2019 per approvarla.

Le motivazioni della sentenza della Consulta sono state depositate ieri, e - pur respingendo buona parte delle argomentazioni con cui la Procura e il tribunale di Milano avevano sospeso il processo a Cappato e chiesto di abolire del tutto la norma - concorda sulla necessità di intervenire con una norma al passo con i tempi. La Corte ricorda che già oggi, con la legge sul «fine vita», il paziente tenuto in vita dalle cure ha il diritto di rifiutarle e di lasciarsi morire. Ma quando per morire non basta la sospensione delle cure, e serve un'azione concreta che uccida il paziente, scatta l'incriminazione. Una disparità illogica, secondo la Consulta: «se chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale è considerato dall'ordinamento in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria esistenza tramite l'interruzione di tale trattamento, non si vede perché il medesimo soggetto debba essere ritenuto viceversa bisognoso di una ferrea e indiscriminata protezione contro la propria volontà quando si discuta della decisione di concludere la propria esistenza con l'aiuto di altri».

Degli undici mesi di tempo concessi al Parlamento per deliberare, ne è già passato uno senza che ad una legge si sia nemmeno fatto cenno.

Se anche i prossimi dieci mesi passeranno allo stesso modo, toccherà alla Consulta intervenire.

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