Cronache

Hina uccisa un'altra volta: il fratello strappa via la foto dalla sua tomba

E ammette il gesto: "L'ho fatto per decoro, era troppo spogliata con quella canottiera rosa"

Hina uccisa un'altra volta: il fratello strappa via la foto dalla sua tomba

Brescia - Non c'è pace per Hina Saleem, la ventenne pakistana uccisa 12 anni fa a Brescia per le sue abitudini libere e ancora oggi tormentata dalla sua stessa famiglia, persino dopo la morte. Era l'11 agosto del 2006 quando Hina venne brutalmente ammazzata a coltellate dal padre Mohammad e seppellita dal capofamiglia nell'orto di casa, tra i pomodori, con la testa rivolta alla Mecca. I suoi parenti furono complici, uniti in un coro reazionario che intendeva punirla per la sua vita da occidentale, per il suo fidanzato italiano e per il desiderio di essere semplicemente uguale alle sue coetanee.

Negli ultimi dieci anni la sua tomba quasi anonima è rimasta lì, invisibile tra le erbacce. Un abbandono equivalente a un secondo omicidio. Fino allo scorso giugno, quando un misterioso benefattore aveva voluto dare una sepoltura degna alla ragazza facendo costruire una lapide di marmo al cimitero Vantiniano di Brescia. Su quella lapide, però, oggi la foto di Hina è scomparsa. Non a causa di una coincidenza o di un incidente. A rimuoverla è stato il fratello maggiore, Suleman, diventato il capofamiglia dopo l'arresto del padre. Ed è lui stesso a spiegare il gesto, senza alcuna difficoltà, con parole dai tratti macabri: «Sono stato io. L'ho tolta per questioni di decoro. Quella foto non andava bene. Hina era troppo spogliata, indossava una canottiera rosa e non è rispettoso apparire così su una tomba».

Quella foto aveva riscosso clamore sin da subito tra la comunità stessa, come confermato dalle parole del referente dell'associazione islamica culturale Muhammadiah di Brescia, Sajed Shah. «È stato compiuto un errore grave aveva stigmatizzato È vero che Hina non era praticante, ma era comunque musulmana. La nostra religione vieta le foto per i defunti». Ma non vieta l'omicidio. Era un rovente giorno di agosto del 2006 quando la ventenne bresciana fu attirata in trappola nell'abitazione dei genitori. La madre e i suoi fratelli erano in Pakistan. A casa c'era solo il padre, che convocò i parenti maschi per l'esecuzione. La Cassazione condannò Mohammed a 30 anni, i cognati di Hina a 17 e lo zio materno - che partecipò soltanto alla sepoltura a poco più di due. «Uccisa per un distorto rapporto di possesso parentale», sentenziò il giudice.

In questi anni Hina è diventata uno dei simboli della riscossa delle donne sottomesse all'Islam. Come un'altra bresciana di origini pakistane, Sana Cheema, uccisa lo scorso aprile mentre era in Pakistan perché aveva rifiutato il matrimonio combinato. Il suo corpo era sepolto in un giardino lontano dal cimitero locale.

Dopo lo scoppio di un caso diplomatico tra Italia e Pakistan, il padre 55enne Mustafa Ghulam, il fratello 31enne Adnan Cheema e lo zio Iqbal Mazhar furono bloccati mentre stavano scappando verso l'Iran e confessarono.

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