Cultura e Spettacoli

La letteratura epica punta a Nord-Ovest

Il nuovo romanzo di William T. Vollmann

La letteratura epica punta a Nord-Ovest

«Forse la vita è barattare le speranze coi ricordi»: è forse la frase che meglio sintetizza l'opera letteraria di William T. Vollmann (Santa Monica, 1959), lo scrittore americano che come pochi altri sta indagando tra le crepe morali di un'America che non ha mai fatto davvero i conti con la propria storia. Vollmann è un Jack London che ha incontrato l'Ovidio delle Metamorfosi: uno scrittore che come London ha vissuto tutto ciò che racconta, dalle spedizioni artiche alle indagini esistenziali in prima persona su quel «popolo degli abissi» fatto di vagabondi e prostitute, animato dalla stessa forza di farci comprendere come «il paesaggio che ci circonda non è che l'ombra del nostro paesaggio interiore».

Al contempo Vollmann è anche il Melville di Moby Dick, solo che lui è sia il Capitano Achab che la balena bianca. Uno scrittore tormentato, che ha dato tutto alla letteratura: tanto da vivere a Sacramento, in un ufficio ricavato da un ex ristorante affacciato su un piazzale abbandonato; tanto da percorrere come giornalista le strade di guerra della Somalia, della Bosnia; poi in Cambogia, sulle tracce del dittatore Pol Pot, nel Triangolo d'oro del Sud-est asiatico alla ricerca dei Signori dell'oppio. Volmann ha fumato crack, si è iniettato eroina, ha comprato una bambina prostituta in Thailandia riscattandola da una morte certa (oggi va a scuola negli Usa).

Vincitore nel 2005 del «National Book Award» con Europe Central (Mondadori), romanzo epopea sulla Seconda guerra mondiale, la sua opera maggiormente ambiziosa è quella dei romanzi dei «Sette-Sogni»: una storia simbolica sul Nord America e sui rapporti tra i pionieri di origine europea e i nativi americani. Ora da noi ritorna il sesto dei sette sogni: I fucili (minimun fax, pagg. 492, euro 19; trad. C. Mennella) che ricostruisce la spedizione dell'esploratore inglese John Franklin alla ricerca del «passaggio a Nord-ovest»: la rotta che collega Atlantico e Pacifico, con la conseguente introduzione delle armi da fuoco e lo «spostamento forzato delle tribù inuit» per gli interessi commerciali europei che in realtà fu «una deportazione» con conseguenze come abusi sessuali, alcolismo, violenza, droga... I fucili è il miglior viatico per immergersi nell'universo Vollmann perché Vollmann non ha paura di farci immergere le mani nel fango della Storia trasformandola in un'epica dei vinti che tra queste pagine sono vittoriosi eroi dell'epica della sconfitta, di quella grande avventura che è la scoperta di vivere.

Vollmann è senza dubbio tra i grandi scrittori americani contemporanei: si nasconde, come Denis Johnson e Richard Powers, in una trama solo apparentemente complicata: eppure è impossibile che lo sia, perché è come vorremmo scrivere se tutti scrivessimo, è come vorremmo leggere se tutti leggessimo. Dietro la «storia simbolica» che racconta ci siamo noi, quella storia che è nostra ma che lasciamo raccontare ai libri di scuola.

Tutto raccontato attraverso una prosa che impressiona per la varietà dei registri narrativi: dal barocco al colloquiale dall'erudizione enciclopedica al flusso di ispirazione jazzistica e beat.

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