Economia

Nessuno compra più il nostro debito: anche i fondi hanno snobbato i Btp

Emissione flop: incassati solo 2,1 miliardi. Il tedesco Weidmann: "Contro le crisi meno sovranità e ministro delle Finanze unico"

Nessuno compra più il nostro debito: anche i fondi hanno snobbato i Btp

«Preferirei di no». Come lo scrivano Bartleby di Melville, anche gli investitori, piccoli e grandi, hanno opposto un rifiuto alla proposta del Tesoro di acquistare i Btp Italia. Il collocamento, un vero e proprio flop che è la cartina di tornasole della diffidenza verso tutto ciò che è espressione del debito tricolore, si è chiuso ieri con una seconda girata di spalle. Dopo gli appena 863 milioni comprati dal pubblico retail, cioè proprio quei piccoli risparmiatori cui è principalmente destinato il Buono agganciato all'inflazione, questa volta è toccato agli investitori istituzionali mostrare il pollice verso, con soli 1,3 miliardi di euro di titoli sottoscritti.

Così, il conto finale è tanto elementare quanto deludente: l'intero collocamento ha portato infatti a un incasso complessivo di 2,16 miliardi. Commenta il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco: nelle emissioni di titoli di Stato si devono «offrire dei tassi che coprano dai rischi, come quello di non restituire i titoli, e quello di restituirli, per esempio, in una valuta diversa, nel caso si abbandonasse la valuta di tutti i giorni che noi usiamo e che fino a 20 anni fa non si usava, che è l'euro, come qualcuno malauguratamente, e in modo forse anche non voluto, a volte suggerisce». Peggio di così, in effetti, non si poteva fare. Perché se le adesioni retail hanno fatto segnare il punto più basso nella storia di questo bond, l'esito dell'intera emissione è il secondo peggiore di sempre. Battuto solo dagli 1,739 miliardi raccolti nel giugno del 2012, cioè nel mezzo della tragedia greca, della richiesta spagnola di aiuti per salvare le banche e dello psicodramma tutto italiano causa spread a 400 punti. Con l'intera eurozona a rischio di collassamento, qualche mese dopo Mario Draghi avrebbe riscritto il finale della crisi del debito sovrano: prima con una frase diventata celeberrima («Wathever it takes»), e poi con il varo del piano di acquisto con cui la Bce ha messo le mani su 2.300 miliardi di titoli e riportato Eurolandia sui binari della crescita. Un piano più volte avversato dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che ieri è tornato a ribadire l'esigenza di creare un unico ministro europeo delle Finanze, lanciando quindi un messaggio chiaro all'Italia: «Senza cessione della sovranità fiscale è difficile la condivisione delle conseguenze delle decisioni a livello nazionale».

Certo non ha giovato al Tesoro collocare il Btp Italia proprio nel momento in cui la Commissione europea ha bocciato la manovra, aprendo di fatto la strada alla procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia. Ma, d'altra parte, sono ormai settimane che il campo dei nostri titoli di Stato è disseminato di mine. Anche se ieri, a fronte di una Borsa ancora in rosso (-0,7%), lo spread è sceso a 307 punti base dai 311 della chiusura di mercoledì e il rendimento del decennale è calato al 3,44% dal 3,48% della vigilia. Un'inversione di rotta che nelle sale operative viene messa in relazione con le rinnovate aperture al dialogo con l'Europa arrivate dal vicepresidente del Consiglio grilino, Luigi Di Maio.

Toni allarmati arrivano però dal fronte delle imprese. Questa volta tocca ai giovani di Confcommercio bocciare la legge di bilancio: il 55,3% delle imprese giovani ritiene poco o per nulla efficaci le manovre varate dal governo, seppur venga visto con favore l'aver scongiurato l'aumento dell'Iva e la flat tax. Preoccupano, però, l'indebolimento della congiuntura e lo spread.

Riassume il neo presidente dei giovani imprenditori di Confcommercio, Andrea Colzani: «Chiediamo meno burocrazia e politiche espansive come il super ammortamento».

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