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Modric, il primo oro slavo premio a una terra di artisti

Finalmente riconosciuto il talento di una terra che ha dato tanto in tutti gli sport. Prima unita e poi separata

Modric, il primo oro slavo premio a una terra di artisti

Luka Modric, campione vero tatuato soltanto dalle sofferenze della vita, risponde ad una grande pensatrice irlandese alzando il Pallone d'oro, il primo per la grande scuola slava del calcio, anche se in tanti sport questi croati, come lo è l'uomo di Zaton Obrovacki, contea di Zara, serbi, bosniaci, montenegrini, macedoni, kosovari, sloveni, separati dalla guerra tragica e sporca, avrebbero meritato di vincere la retina d'oro del basket, la calottina d'oro della pallanuoto, lo sci di platino, la racchetta d'argento del tennis con la Davis svalutata appena conquistata dai cruatt, il pozzo delle meraviglie nella pallavolo.

La signora Dickson diceva che una vita trascorsa cercando l'approvazione degli altri è come un'esistenza passata in prigione. Modric ha dimostrato che ne valeva la pena, adesso che in prigione sono gli altri, i superficiali, quelli affascinati soltanto dai grandissimi che fanno gol, canestro, che schiacciano, ma per arrivare lassù hanno bisogno che qualcuno alimenti il loro talento come ha fatto l'uomo del fosforo della Croazia, come il bambino d'oro Giannelli che ha portato a Trento la quinta coppa del mondo per club nella pallavolo.

Ci siamo commossi con Zvone Boban, altro genio della scuola calcistica croata, quando Modric ha potuto accarezzare quel pallone d'oro che per lui è tanto, ma non il massimo, perché quello che desiderava davvero era il titolo mondiale nella finale di Mosca contro la Francia, perché la sua vita dedicata ai campioni che aveva intorno ha un senso soltanto se vince la squadra, come succede spesso con il Real Madrid.

Certo essere il primo della scuola slava a farsi largo fra i fenomeni è importante, ma anche lui si domanda perché non è accaduto prima con i tanti calciatori come sognava Vujadin Boskov, come meritavano Cosic o Drazen Petrovic per il basket, come sostengono da tempo quelli della pallavolo dei plavi, come ci hanno dimostrato sciatrici alla Janica Kostelic o alla Tina Maze o tennisti come Ivanisevic e Djokovic, un croato ed un serbo.

In una bella inchiesta della Gazzetta di qualche giorno fa il titolo diceva tutto: Il DNA della ex Jugoslavia. Se c'è una squadra comandano loro. Una grande verità che oggi trova conferma planetaria con il Pallone d'oro a Luka, il bambino fragile cresciuto fra le bombe che hanno ucciso tanti della sua famiglia, il campione che fa tutto bene al servizio dell'idea che nello sport di squadra si va avanti soltanto se la gente, come diceva il grande vescovo mormone Cosic, sa riconoscere che in campo servono gli architetti e i muratori.

Sono bravi, perché la loro scuola li aiuta, sono vincenti perché hanno sempre fame di successo. In quella inchiesta su carta rosa è intervenuto anche Boscia Tanjevic, montenegrino cresciuto cestisticamente nella grande scuola di Belgrado, italiano per averci dato il titolo europeo del basket nel 1999, turco per aver portato l'argento mondiale, vincitore con la Bosna Sarajevo della coppa Campioni su Varese quando aveva 32 anni, oggi incatenato nel progetto difficilissimo dell'Italbasket per ridarci una dignità internazionale.

La sua spiegazione su questi successi della scuola slava è abbastanza semplice: scuola e merito, zuppe e carne. Certo non è tutta la verità, sul cibo, ad esempio, i romani, quando dominavano il mondo, credevano nel potere del pesce azzurro per il loro garum, la più famosa salsa di pesce dell'antichità. Di sicuro quello che dice Boscia, però, ha una base che andrebbe meditata da chi pensa di rivoluzionare lo sport, ma poi si ferma davanti alle scuole senza palestre, a chi non crede che siano indispensabili insegnanti preparati bene come faceva la nostra scuola dello sport: «Servono palestre dove si praticano più discipline, io stesso a Sarajevo facevo ginnastica artistica, dalla scuola escono i migliori, quelli che poi torneranno come insegnanti. Senza scorciatoie o raccomandazioni, serve studiare davvero per insegnare, dalla medicina alla biomeccanica alla fisiologia. Sì, certo, conta anche la razza e quella dinarica è importantissima (ma Modric è un normotipo di 1.72, ndr).

Allenamento, alimentazione, riposo nel rispetto delle specificità del proprio sport, grande senso della competizione».

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