Cronache

Migranti, in Italia oltre uno su mille ha la tubercolosi

Secondo i dati della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) in Italia il 62% dei malati di tubercolosi è di origine straniera. E tra i migranti sbarcati nel nostro Paese oltre uno su mille ha contratto o sviluppato la malattia durante il viaggio

Migranti, in Italia oltre uno su mille ha la tubercolosi

Oltre un migrante su mille, tra quelli sbarcati in Italia, è affetto da “tubercolosi polmonare attiva”. È questa la fotografia allarmante scattata dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), con uno studio realizzato in collaborazione dall'Università di Catania e l'Arnas Garibaldi di Catania.

Secondo i dati degli esperti, infatti, nel 2016 il 62% dei 4.032 casi di tubercolosi si sarebbe riscontrato in pazienti di origine straniera. Tra le cause dell’insorgenza della malattia, spiegano dalla Simit, c’è sia la provenienza della maggior parte dei migranti da aree in cui la Tbc è endemica, sia l’alto rischio di contagio durante il viaggio o i lunghi periodi di detenzione che i rifugiati devono affrontare. "La tubercolosi viene riattivata in seguito agli stenti del lungo viaggio di migrazione, in media oltre 240 giorni – chiariscono gli esperti - in seguito a malnutrizione, altre malattie, detenzione e violenze, che indeboliscono progressivamente il sistema immunitario del soggetto infetto”.

Il rischio più alto per la comunità, secondo Bruno Cacopardo, docente di malattie infettive dell'Università di Catania, risiede nello “smantellamento della rete di assistenza dedicata alla retention in care dei pazienti con malattie croniche o in trattamenti prolungati”. La maggior parte dei migranti sottoposti al trattamento antitubercolare, ha spiegato il professore, “tendono ad interromperlo arbitrariamente poco dopo la dimissione". In passato, invece, dopo il ricovero i pazienti venivano seguiti nel loro percorso di guarigione da mediatori culturali e assistenti sociali all’interno dei centri di accoglienza. “Attualmente – ha proseguito Cacopardo nel suo intervento al XVII congresso nazionale della Simit in corso a Torino - la drastica riduzione di risorse a disposizione dei centri ha provocato lo smantellamento della rete di assistenza”.

Una circostanza che mette a rischio non solo la salute dei pazienti. Tra i pericoli, infatti, c’è quello che la malattia si diffonda sia all'interno delle comunità di accoglienza, sia, nel lungo termine, “tra la popolazione autoctona locale". Tra i problemi riscontrati più frequentemente all'interno della popolazione migrante ci sono i traumi fisici e psicologici causati da conflitti, persecuzioni e torture, l’Hiv, le malattie infettive genito-urinarie, e, in qualche caso, il rischio di contrarre la malaria, legato “a viaggi del migrante nel proprio paese di origine senza ricorrere ad adeguate misure di prevenzione”.

Tuttavia, le ricerche più recenti dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (Oms) classificano l’Italia tra i Paesi a bassa incidenza di Tbc, con meno di 20 casi ogni 100mila.

Il tasso di notifica di questa patologia nel nostro Paese, inoltre, è diminuito in media del 1,8% per anno dal 2012 al 2016.

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