Prima della Scala

"Attila" conquista la Scala. Applausi per 14 minuti

Regia, direzione e cantanti uniti in una grande prova Le proiezioni visive hanno esaltato la scenografia

"Attila" conquista la Scala. Applausi per 14 minuti

Dopo tante parole è arrivato il momento che mette tutte le cose a posto: la verifica del palcoscenico, il responso del pubblico che ha tributato ai protagonisti dell'opera inaugurale la stagione della Scala, Attila, ben quattordici minuti di applausi.

E non è poco, perché quello che attende gli artisti all'apertura della Scala è un esame che vale un passaporto oppure che può mettere un pesante altolà alla carriera anche degli artisti più promettenti. In una serata si constata, come dicevano gli antichi commentatori, se un direttore d'orchestra, un regista o un cantante ha la «misura Scala».

Non si trattava di stabilire se Attila fosse una delle opere più solide del cosiddetto Verdi giovane, perché questo era stato già ben assodato dalle non poche prestigiose riprese moderne, soprattutto quelle guidate da Riccardo Muti, cui si doveva anche la più importante ripresa scaligera precedente. Esecuzioni che avevano mostrato la coesione drammaturgica, la forza melodica e la sintesi del dramma lirico in un prologo e tre atti di Verdi e Temistocle Solera. Certo l'aver il maestro Riccardo Chailly scelto quest'opera per aprire la stagione della Scala, è un importante attestato di fiducia nei confronti di un testo musicale che ancora vent'anni fa certa critica schizzinosa annoverava fra i frutti del patriottismo retorico perennemente esaltato. Cominciamo dalla parte visiva, tasto dolente di molti recenti spettacoli, e che invece si è rivelata ponderata con abilità sulla musica e sui momenti spettacolari (come negli ingressi equestri di Attila e di Papa Leone a dorso di cavallo). Meno riuscita la seconda parte con il banchetto dei barbari e l'interno, causa l'insistito ambiente bordellesco fra Pasolini, Visconti e Liliana Cavani. Fra i meriti quello di aver inserito accenni al tema politico con discrezione (la lotta alla tirannide, seppure incarnata da un autocrate autorevole e affascinante), «motivo» che all'epoca di Verdi era il nervo scoperto di tutta la società borghese aspirante all'Unità che riempiva i teatri e faceva trionfare Attila. Solo un tricolore cencicato compare fra i profughi sulla laguna della futura Venezia. Altro punto positivo della regia è l'aver evitato scontate speculazioni con agganci ad avvenimenti storici precisi.

Hanno funzionato bene le grandi proiezioni visive che rendevano l'atmosfera cupa, fra edifici in rovina e nuvole scorrenti, indicando come questa sia una soluzione vincente per superare le pesanti scene costruite in una concezione dinamica e dichiaratamente cinematografica dell'opera.

Passando al settore vocale vale sottolineare la qualità di tutti e quattro i solisti chiamati in quest'opera a sostenere parti di grande rilievo scenico e spossante impegno vocale. Per questo partiremo dal ruolo impervio di Odabella, che il soprano spagnolo Saioa Hernandez ha interpretato con una linea di canto incisiva e gagliarda, presentandosi solida, se non graffiante, nelle scomode cabalette. Prova altrettanto lodevole quella del tenore Fabio Sartori nel ruolo non certo simpatico di Foresto, innamorato di Odabella e cieco avversario di Attila. Sartori ha cantato con convinzione, porgendo la frase musicale sempre con gradevolezza. Impressione ancora maggiore ha destato il baritono George Petean nel ruolo di solito risolto con ruvida genericità del generale Ezio, mostrando voce chiara, timbro omogeneo, dizione accattivante: davvero una consacrazione la sua prova. Il basso Ildar Abdrazakov ha confermato la sua autorità scenica e prestanza vocale, soprattutto nella cabaletta Oltre quel limite, quando la tessitura sale e la sua voce prende consistenza. Oggi è giustamente il numero uno in chiave di basso. Scelti con cura i ruoli comprimari: papa Leone (Gianluca Buratto) e Uldino (Francesco Pittari).

Il merito che dobbiamo attribuire all'applaudito maestro Riccardo Chailly è quello non solo di aver scelto l'opera e gli interpreti adeguati, ma soprattutto di aver condotto e guidato al franco successo la serata.

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