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Huawei, la manager alla sbarra «Niente cauzione, può fuggire»

Anche il Giappone molla il gigante tech, che però a Londra si piega alle regole. Pechino divisa tra tregua e rappresaglia

Niente libertà su cauzione: troppo alto il pericolo di fuga, sapendo che negli Stati Uniti rischia fino a trent'anni di carcere. Questa la richiesta della procura canadese nei confronti di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei e figlia del fondatore, arrestata a Vancouver per conto degli Usa il 1° dicembre. Il mandato d'arresto, si è scoperto ieri in aula, era stato emesso già il 22 agosto. Confermata l'accusa di frode per aver fatto affari con l'Iran attraverso la sussidiaria Skycom, dribblando le sanzioni statunitensi. Gli Usa tornano a chiedere l'estradizione di lady Huawei.

La società, per ora, vuole separare la vicenda dagli affari e mantiene un atteggiamento accondiscentente con i partner commerciali. Pur di non essere esclusa dalla realizzazione della rete 5G nel Regno Unito, secondo il Financial Times avrebbe accettato di introdurre alcune modifiche tecniche chieste dall'Agenzia britannica per la cybersicurezza. Il compromesso sarebbe stato raggiunto questa settimana, quindi dopo l'arresto di Meng. Ma non finisce qui: il sito Bloomberg scrive che il gigante cinese starebbe per investire almeno 2 miliardi di dollari per rivedere in toto il modo in cui vengono realizzati i software. Il fondatore Ren Zhengfei sa che una soluzione va trovata in fretta. Alla lista di Paesi che avevano già espresso la volontà di mettere al bando l'azienda tech - Usa, Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito e Germania - ieri si è aggiunto anche il Giappone. La stampa nipponica ha anticipato che il governo, forse già lunedì, vieterà ai funzionari pubblici l'utilizzo di dispositivi firmati Huawei e Zte, temendo che possano agire da cavalli di Troia per i servizi segreti di Pechino.

E reazioni distensive arrivano anche dalle istituzioni cinesi. Dopo la notizia dell'arresto di Meng un portavoce del ministero del Commercio cinese ha confermato che Pechino prosegue nella ricerca di una tregua alla guerra commerciale con gli Usa, «a partire da prodotti agricoli, auto ed energia». E ieri il ministero degli Esteri ha escluso che la Cina reagirà ritorcendosi contro le aziende statunitensi, come avevano ipotizzato alcuni analisti. Tra cui James Lewis, analista ed ex dirigente del dipartimento del Commercio Usa, dove si è rapportato a lungo con la Cina: «Huawei è una delle compagnie di punta del governo - ha detto al sito Axios -. Per questo Pechino andrà al contrattacco e prenderà degli ostaggi».

Per quello che vale - l'arresto di Meng ha fatto dubitare che il presidente Usa abbia una strategia chiara sul caso - anche Donald Trump ha voluto mostrarsi ottimista. «Le trattative con la Cina vanno molto bene», ha twittato ieri, attirandosi le ironie di parecchi utenti. La versione ufficiale è che lui non sapesse del fermo della top manager cinese, mentre il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, ha detto che ne era stato informato in anticipo.

Così come il premier canadese Justin Trudeau, che però ha escluso qualunque «intervento politico».

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