Cronaca locale

L'ex "casa del rugby" ci è costata 32 milioni di euro. Ora è in ostaggio dei rom

L'impianto sportivo che doveva ospitare la squadra di rugby capitolina, costato al Comune 32 milioni di euro e abbandonato dal 2015, ora è occupato da un gruppo di nomadi e migranti. I residenti: "Dentro è terra di nessuno"

L'ex "casa del rugby" ci è costata 32 milioni di euro. Ora è in ostaggio dei rom

“Qui si entra solo con il tesserino della polizia”. Ad allontanarci in malo modo dal cancello dell’ex città del rugby di Spinaceto, alla periferia sud di Roma, è un romeno sulla trentina (guarda il video).

“Questa è proprietà privata”, ci spiega brandendo un casco da motociclista, mentre due donne della famiglia, poco lontano, ci urlano contro apostrofandoci con epiteti poco eleganti. “È proprietà privata”, ripete alzando la voce, nel caso non avessimo ancora chiaro il concetto. Peccato che questo impianto sportivo, inaugurato nel 2004 e mai entrato in funzione, sia stato costruito con 32 milioni di euro stanziati dal Comune di Roma. La costruzione se la aggiudicò una piccola azienda che gestiva una pista di pattinaggio sul ghiaccio. Il progetto, ambizioso, comprendeva la costruzione di campi da rugby, piscine, una spa, un ristorante e varie attività commerciali. Di due campi, alla fine, ne venne costruito uno solo, peraltro con le misure sbagliate. Giusto il tempo di un paio di allenamenti per i ragazzi della Rugby Roma e la società concessionaria dichiarò fallimento.

Così nel 2015 l’impianto ha chiuso i battenti e a poco a poco è stato letteralmente saccheggiato. Oggi restano soltanto gli scheletri di cemento e i pali dell’illuminazione del campo che svettano sulle macerie. In compenso, il vuoto lasciato dagli atleti è stato riempito da un gruppo di nomadi che ha occupato i locali della foresteria costata due milioni di euro, ricavandone dei veri e propri appartamenti, con tanto di canne fumarie ed elettricità. “Siamo in dieci a viverci, tutta la mia famiglia”, ci conferma uno di loro. Lo stesso che ci sbarra la strada davanti alla recinzione divelta al di là della quale, nel frattempo, donne e uomini si infilano carichi di buste della spesa. “Siamo romeni e bulgari”, ci dicono altri due ragazzi che fermiamo mentre si allontanano a bordo di un’auto sportiva. Ci vietano di filmare e di fare foto. L’area, insomma, è praticamente off limits.

Ce lo confermano anche i frequentatori del parco incastonato fra i palazzoni popolari e la via Pontina. “Avvicinarsi è pericoloso”, ci avverte un signore. Qui la maggior parte delle persone preferisce non impicciarsi. Ma l’insofferenza è tanta. “Circa un anno e mezzo fa ho iniziato a vedere delle persone che avevano allargato le grate e portavano dentro materassi, mobili e vivande”, ci racconta un’altra residente. “Sono tutti stranieri nomadi, ma anche ragazzi di colore”, aggiunge. E c’è persino chi, di fronte al continuo ricambio di auto targate Romania e Bulgaria posteggiate lì fuori, non ha dubbi: “Evidentemente affittano anche le stanze”.“Quando veniamo a passeggiare - racconta un’altra residente - sentiamo i rumori di persone che fanno i lavori e la musica, quella anche di sera”.

Il nuovo vicinato preoccupa non poco il quartiere. Che “lì ci sono i rom” ormai lo sanno tutti. E tutti cercano di girare alla larga, tanto che il parco che circonda l'ex impianto sportivo è quasi deserto. “All’interno non c’è nessun tipo di controllo, può succedere di tutto - si lamenta un’altra donna - non sappiamo più come tutelarci, abbiamo fatto decine di denunce e segnalazioni negli ultimi mesi, ma nessuno è intervenuto”. La nuova recinzione posta un anno fa a protezione del complesso sembra non essere servita a nulla. “Il via vai di sbandati è continuo”, conferma chi vive nella zona.

Per i residenti dovrebbe metterci mano il Comune, considerando anche il fatto che la struttura è stata edificata con uno stanziamento di fondi pubblici. In effetti, un anno fa, il Campidoglio aveva annunciato un nuovo bando per rimettere in sesto gli edifici. Ma l’opera potrebbe costare centinaia di migliaia di euro e così, per il momento, i buoni propositi sono rimasti lettera morta. Quel che resta del progetto iniziale, quindi, come denunciano gli abitanti del quartiere, è “un’area verde distrutta e lasciata in stato di completo abbandono”.

E al posto del prato ora c’è l’ennesima zona franca ostaggio di nomadi e sbandati.

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