Cultura e Spettacoli

"Il commissario Magrelli" e lo strano caso del poeta giustizialista

Versi contro garantismo, perdonismo, cainismo La svolta in stile Law & Order dell'intellettuale

"Il commissario Magrelli" e lo strano caso del poeta giustizialista

«Qualcuno tocchi Caino». Questo slogan salutare non viene gridato da un feroce sovranista, bensì da un poeta solitamente mite, professore universitario pendolare (a Cassino), traduttore dei francesi più soporiferi (Mallarmé, Valéry...), cavaliere nominato da Ciampi, collaboratore di Repubblica, insomma un letterato allineato e posato, Valerio Magrelli, che se ne esce oggi con un piccolo libro Einaudi dalla copertina tre volte spiritosa: nel titolo (Il commissario Magrelli), nel colore (il giallo appunto dei gialli polizieschi), nell'immagine (gli occhiali dalla montatura nera che lo contraddistinguono da sempre).

Ma all'interno c'è poco da ridere. Dietro la sottilissima maschera del commissario, il poeta sembra poter finalmente sfogarsi e manifestare la sua ripugnanza per l'Indulgenza Plenaria, inestricabile groviglio di garantismo, perdonismo e cainismo che fa dell'Italia un buon posto dove delinquere sia per i criminali indigeni che per quelli alloctoni, attirati da legislazioni e prigioni ben più morbide di quelle dei Paesi d'origine. Magrelli si dichiara insoddisfatto perfino della Bibbia ossia della terribile legge del taglione. «Anche dente per dente non va bene./ Semmai, denti per dente». E in questo modo pure Mosé ci fa la figura del buonista pappamolla. Il commissario Magrelli ha l'ergastolo facile, da comminare per un'ampia gamma di reati: «L'irrimediabile esige simmetria./ Un viso deturpato,/ una persona uccisa - anche per loro,/ anche per loro vale la sanzione:/ Fine pena mai».

Dispiace che non si spinga fino all'elogio della pena di morte ma non possiamo chiedere troppo, Magrelli è poeta di un certo livello però con tutta la simpatia e la stima e la piacevole sorpresa per questa svolta Law & Order non è situabile all'altezza del sommo Baudelaire che nella Capitale delle Scimmie scrisse: «Mi dicono che a Parigi in 30.000 firmano una petizione per l'abolizione della pena di morte. 30.000 persone che la meritano». Bisogna accontentarsi delle dure critiche agli sconti di pena, quando il numero degli anni da scontare diminuisce ma le coltellate inferte restano inevitabilmente sempre quelle, e al fenomeno del pentitismo: «Strano che chi si pente/ resti di meno in carcere./ Ma non dovrebbe essere il contrario?/ Ciò che ho fatto, mi fa così ribrezzo.../ che voglio stare al gabbio un anno in più./ È questo, il pentimento».

Ma cosa è successo a Magrelli? Gli amici del giro romano lo sanno, lo hanno letto, lo leggeranno questo libro così anomalo e manettaro? Cosa ne penserà Nanni Moretti che in Caro diario offrì al neo-giustizialista un memorabile cameo? E i compagni di manifesto, gli intellettuali dell'appello sullo ius soli che Magrelli ha firmato solo un anno fa? Mi riferisco a Natalia Aspesi, Ginevra Bompiani, Furio Colombo, Carlo Ginzburg, Goffredo Fofi, Nicola Lagioia, Gad Lerner, Luigi Manconi, Michela Murgia, Moni Ovadia, Rossana Rossanda, Paolo Rumiz, Michele Serra, Walter Siti, Emanuele Trevi, l'élite dell'invasionismo... Perché molte delle nuove poesie tendono allo xenofobo, e siccome nessuno riuscirà a convincermi che commissario e poeta siano due persone diverse vorrà dire che nel frattempo le opinioni sono molto cambiate. «I sikh nelle campagne di Latina./ I maghrebini in Puglia./ Le lotte secolari per il diritto al lavoro: svanite./ Nulla è acquisito in via definitiva,/ medita il commissario, basta un attimo/ e il tuo vicino ritorna cannibale,/ dopo essersi accoppiato con la madre».

Asia e Africa non sono risorsa bensì cuore di tenebra, nelle poesie di questo neo-illuminista un po' alla Enzensberger, già ludico e stavolta severo che ci ricorda di stare attenti al lupo, al male, a Caino.

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