Sport

Il re dei motori compie 50 anni. Ma da 5 la sua è una vita a metà

Il 3 gennaio il grande Michael taglia un altro traguardo. Ma quell'incidente del 2013 lo ha inchiodato a una sedia

Il re dei motori compie 50 anni. Ma da 5 la sua è una vita a metà

I l dio dei motori crocefisso a una sedia oggi compie cinque anni di non vita. Fra pochi giorni però, il 3 gennaio, questo stesso dio, precipitato dall'olimpo dei motori una fottuta mattina di dicembre, compirà cinquant'anni. Ed è questa seconda ricorrenza che andrebbe celebrata. Glielo dobbiamo. Perché ha fatto sognare milioni di appassionati e perché, invece, la non vita conta nulla; la non vita è solo una lama conficcata nella schiena dei famigliari che lo accudiscono e un dubbio, talvolta sincero, talvolta morboso, nella testa dei milioni di tifosi che si domandano come stia il loro dio.

Sta male e sta bene Michael Schumacher. Sta male perché sotto il sole brillante e il cielo terso di quella domenica mattina di cinque anni fa, la sua vita vera è finita. Tra la neve fresca e la roccia dura, durante una gita sugli sci con il figlio Mick e pochi cari amici. È finita sciando fuori pista a pochi chilometri dall'amato chalet di Courchevel, nell'Alta Savoia. È finita sbattendo la testa sulla pietra nascosta dal manto, è finita con una doppia emorragia agli emisferi destro e sinistro provocata dall'impatto che ha scosso il cervello come fosse una palla che rimbalza fra due pareti. A complicare tutto, forse, l'asta di una videocamera fissata al casco che ne ha indebolito la calotta. Michael sta male per tutto questo. Perché le operazioni al cervello non sono servite a riportarlo a vita vera. Sta male perché dopo mesi, risvegliato dal coma indotto, si è ritrovato inchiodato a un altro tipo di coma: quello di chi non tornerà mai veramente. Al di là delle indiscrezioni senza conferma dell'ultimo periodo, voci che riprendevano notizie vecchie di anni, annunciando risvegli in realtà già avvenuti o coscienza o altro, al di là di questo liquame sono ormai quasi quattro anni e mezzo che il dio dei motori sta su una sedia rotelle, respirando autonomamente, ma senza aver mai dato la certezza di comprendere ciò che gli accade attorno.

Sta male e sta bene Michael Schumacher. Sta bene perché l'amore dei famigliari non gli è mai mancato, perché sua moglie Corinna e uno staff di una decina di fisioterapisti e infermieri lo accudisce quotidianamente nella villa castello di Gland, sul lago Lemano. Sta bene perché il patrimonio di 800 milioni di euro consente di non lasciare nulla di intentato e di accompagnarlo senza patemi lungo questo percorso di non vita. Un percorso avvolto nel mistero da tanto è grande, persino eccessiva, la riservatezza in cui la famiglia l'ha avvolto. Sta bene perché gli amici veri lo vanno a trovare, perché Jean Todt, il capo della sua Ferrari vincente e meravigliosa, è spesso da lui come un secondo padre, come fidato consigliere di Corinna, come uno zio acquisito per Mick che segue le orme del papà nelle corse, e Gina Maria, la bionda e dolce primogenita. Sta bene perché con Todt e i famigliari ha visto delle gare in tv e non solo il Gp del Brasile di cui si è vociferato nelle settimane scorse. Anche se poi per Michael vedere un Gp vuol solo dire stare immobile seduto sulla sedia a rotelle accanto all'amico mentre le immagini scorrono per lui senza senso, o senza che gli altri capiscano se ne abbia o meno consapevolezza.

Il dio dei motori che il destino, accanendosi, non si è limitato a trasformare in uomo bensì in uomo debole, prigioniero, bisognoso, vive così da cinque anni. Però, in giorni in cui lo si ricorda per la triste ricorrenza, bisogna portargli il rispetto di celebrarlo pensando soprattutto ai suoi 50 anni e al dio delle corse che era stato: con gli immensi talenti e le evidenti debolezze; e con quei numeri, le 91 vittorie e i 7 mondiali vinti, di cui 5 di fila con la Ferrari. Un dio delle corse che nell'estate del '91, pur di debuttare in F1, aveva raccontato di conoscere e aver già corso a Spa Francorchamps, tempio del motorismo, e non era vero niente e avrebbe passato la vigilia pedalando su e giù per il circuito pur di impararlo a memoria. Un dio, Schumi, che Senna aveva umiliato al ristorante, «ah, sei un mio tifoso? Mi fa piacere, però adesso sto mangiando...», aveva detto al giovane debuttante innescando così un odio sportivo che avrebbe portato i due, un giorno, durante un test in Germania, quasi alle mani. Una rivalità umana e sportiva interrotta solo dalla tragica scomparsa del brasiliano.

Un dio imperfetto, Schumi, che aveva vinto due titoli con la Benetton, rubando quasi il primo con una brutta manovra ai danni di Damon Hill; un dio che aveva saputo ricostruire la Ferrari pazientando e sbagliando e proteggendo. Pazientando, perché dal suo primo anno, nel 1996, al titolo del 2000, erano trascorsi cinque anni; sbagliando, perché a Jerez de La Frontera, raggiunto da Jacques Villeneuve, aveva cercato di evitare il sorpasso che valeva il mondiale buttando fuori il rivale e perdendo titolo e faccia davanti al mondo. Proteggendo, perché due anni dopo, a Silverstone, un errore commesso dal box lo aveva lasciato senza freni alla prima staccata e nello schianto si era rotto una gamba e non aveva detto mai nulla e non aveva criticato nessuno e aveva fatto invece squadra come nessuno mai, prima e dopo di lui, alla Rossa.

In questo giorno, dunque, onoriamo il dio delle corse e non l'uomo prigioniero di una sedia e della non vita. Ma facciamolo senza che, per compassione o altro, gli si regali nulla, nascondendone i limiti o, magari, dimenticandosi di come iniziò a precipitare dall'Olimpo dei motori. Un volo in caduta libera cominciato dopo il primo ritiro, a fine 2006, che avrebbe portato dio Schumi a correre in moto come un incosciente signor Nessuno per anonimi circuiti di provincia, rischiando la vita e finendo a terra rovinosamente più volte.

Soprattutto, un volo a precipizio che lo avrebbe spinto nel 2010 a dire di sì alla Mercedes pur di tornare in F1, lasciando in bocca a milioni di fedeli della Rossa il gusto amaro e indelebile di sentirsi traditi dal proprio dio.

Commenti