Controcultura

Black Mirror tra videogioco e tv interattiva

Black Mirror tra videogioco e tv interattiva

«Cos'è Netflix? Una piattaforma virtuale come la tv ma online». Se un ragazzo del 1984, appassionato di videogiochi, abile conoscitore dei programmi per Commodore, avesse ricevuto una risposta del genere, di certo non avrebbe capito niente né del lessico né di quale futuro si sarebbe potuto disegnare trentacinque anni dopo. La battuta fa indubbiamente sorridere come ogni volta in cui si verifica questo strano cortocircuito temporale tra ciò che vediamo sullo schermo e ciò che sappiamo essere accaduto, mentre i protagonisti del film sono ignari. Come quando dissero a Emmett Brown di Ritorno al futuro (era il 1985) che Ronald Reagan sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti. Fece un'espressione davvero strana, non ci credeva proprio.

Agli albori della tecnologia domestica - internet non era ancora stato inventato, ci sembra di parlare del paleolitico - è dunque ambientato il nuovo episodio di Black Mirror, in programmazione da soli tre giorni, ovvero la new thing di fine anno. In Bandersnatch lo spettatore è chiamato a un ruolo attivo, proprio come nei videogiochi: telecomando alla mano, siamo noi che scegliamo al posto di Steven Butler, il giovane interpretato da Fionn Whitehead già apprezzato attore in Dunkirk di Christopher Nolan. Poiché nella vita si è sempre davanti a un bivio, tocca decidere di volta in volta quali cereali mangiare a colazione, quale cassetta inserire nel walkman, quale disco dei Tangerine Dream acquistare. Da cose di lieve importanza si passa poi a scelte decisive per la vita del protagonista e per l'andamento narrativo; rispetto alla realtà c'è la possibilità di riavvolgere il nastro (figura desueta, mi rendo conto) e ricominciare daccapo, cambiando così le carte in tavola e il destino del nostro Steven.

Perché Steven lo ha capito che in Bandersnatch non riesce a decidere, avverte la presenza di qualcuno dall'esterno, qualcuno che lo guida, lo porta altrove, che può essere buono o cattivo, una mente curiosa e complicata oppure che preferisce tirar dritto e non perderci altro tempo. Così l'episodio - come sempre in Black Mirror la storia si conclude nell'unità prestabilita - può durare un'ora e mezza o, complicando il plot, allungarsi a oltre il doppio. In tal caso necessita l'inserimento di altri registri, l'horror, il fantasy, fino a scivolare nel paradosso, ma a quel punto la linearità narrativa è andata perduta perché siamo stati noi a volerla perseguire.

Bandersnatch può così essere un esempio pionieristico di «altra» tv, ovvero l'ultima frontiera di quell'interattività di cui tutti parlano, oppure un fallimentare gioco visivo destinato a non ripetersi perché in fondo noi spettatori preferiamo storie solide e in qualche modo tradizionali.

Un altro dubbio, insomma, e in attesa di decidere tra una forma di intrattenimento utopistica e il riarrangiare elementi noti, l'ultimo prodotto di Black Mirror si presenta, come sempre, visivamente molto interessante e stilisticamente impeccabile.

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