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Il fascismo degli antifascisti

Il fascismo degli antifascisti

Il fascismo degli antifascisti. È un'espressione di Pier Paolo Pasolini e il titolo di un libro tanto piccolo quanto interessante pubblicato da Garzanti. Non ci sono inediti ma una selezione esaustiva degli articoli dello scrittore dedicati a fascismo e antifascismo. In coda una splendida intervista a Pasolini realizzata da Massimo Fini, nel 1974.

Ieri un amico (via twitter), il libraio e scrittore Emiliano Gucci, notava che l'analisi più lucida dei nostri giorni è firmata da un uomo ucciso quando lui, Gucci, aveva due mesi. Ottimo spunto, che rubo a Emiliano (grazie). Infatti la lettura de Il fascismo degli antifascisti finisce con l'essere illuminante. Prima di entrare nel merito, una considerazione marginale: come poteva Pasolini, al netto di un marxismo posticcio, definirsi comunista? In questi scritti viene fuori piuttosto un conservatore, se non addirittura un reazionario. Non stupisce che Pasolini fosse un appassionato lettore di Antonio Delfini, scrittore geniale, dimenticato e pubblicato con i piedi dall'editoria italiana. Delfini aveva scritto un semi-delirante Manifesto per un partito conservatore e comunista, una formula nella quale Pasolini doveva riconoscersi.

Il limite dell'analisi di Pasolini è linguistica: in sostanza definisce «fascista» tutto quello che non gli piace, antifascismo incluso. Il fascismo è trasformato in una categoria morale, che indica il carnefice, la sopraffazione, la violenza. Anche nella vaghezza del significato di fascismo Pasolini rispecchia lo spirito del nostro tempo, in cui il fascismo è tutto e niente, quasi sempre un insulto da usare come clava per zittire l'avversario non conforme al politicamente corretto.

Veniamo ai testi.

Punto primo. L'antifascismo ha fatto nulla per cancellare il fascismo e i fascisti: «Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l'indignazione più tranquilla era la coscienza».

Punto secondo. L'antifascismo è una litania che si snoda da Ferruccio Parri ad Adriano Sofri, ed è ben accetta dai perbenisti della politica. Sorpresa: i veri fascisti sono quelli al potere e al governo. I Moro, i Fanfani, i Rumor, i Pastore, i Gronchi, i Segni, i Tanassi, i Cariglia e magari i Saragat e i La Malfa. «Contro la politica di costoro, si può e si deve essere antifascisti» (qui Pasolini ruba le parole a Marco Pannella).

Punto terzo. Oggi il fascismo è un'altra cosa rispetto al Ventennio. Fascisti e antifascisti sono diventati uguali e hanno desideri simili: «Il nuovo fascismo - che è tutt'altra cosa - non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo». Le tradizioni devono essere spazzate via dalla «società dei consumi» e dal conformismo. La cultura di massa «è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare un Potere che non sa più cosa farsene di Chiesa, patria e famiglia». L'omologazione riguarda tutti: popolo e borghesia, padroni e sottoproletari. La stessa divisione in classi sociali tende a scomparire o quantomeno a essere indistinguibili.

Punto quattro. Cos'è il Potere e chi lo detiene? «Scrivo Potere con la P maiuscola (...) solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c'è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale) e, per di più come tutto non italiano (transnazionale)».

Di cosa sta parlando Pasolini? A cosa si riferisce quando impropriamente usa la parola fascismo per descrivere l'assimilazione totale dei nostri tempi? Sostituite «fascismo» con «globalizzazione»: i conti tornano. Ecco spiegato il potere transazionale che scavalca le vecchie forme di potere nazionale. Ecco cosa significa l'appiattimento e la confusione delle classi sociali. Ecco cosa significa l'omologazione del mondo, imposta con brutale forza totalitaria.

Pasolini, integrato e apocalittico, membro della società letteraria con licenza di fuga nei sobborghi, si rivela davvero preveggente. Non tanto per la questione del fascismo e dell'antifascismo che, in termini storici, ritiene conclusa e da accantonarsi. Pasolini è scioccato dalle forze che daranno vita alla globalizzazione a trazione americana. Lì intuisce l'esistenza di un nuovo potere ubiquo e senza volto, che potremmo forse individuare nelle istituzioni transnazionali, nell'alta finanza e nella casta dei «tecnici». Per commerciare agevolmente, meglio cancellare le frontiere, le differenze, le tradizioni e perfino la politica, che ha tempi lunghissimi rispetto all'economia. Il tempo è denaro e il denaro è tempo. Meglio decidano rapidamente i tecnici con o senza l'investitura del voto, come abbiamo potuto verificare sulla nostra pelle.

Rispetto a Pasolini, la sinistra di oggi ha fatto qualche passo indietro, tornando all'antifascismo, caricaturale in assenza di fascismo. A volte finisce a schiaffoni, come nel caso dei giornalisti dell'Espresso picchiati dai «camerati» a margine della commemorazione della strage di Acca Larentia. La violenza è da condannare duramente. Ma non basta quest'episodio per descrivere un'Italia in mano agli squadristi. Piuttosto vale la pena notare che la sinistra ha sposato completamente la globalizzazione.

Forse Pasolini oggi si chiederebbe se la sinistra sia ancora di sinistra.

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