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Lucia e Gertrude sono sorelle e "figlie" di santità e peccato

La promessa sposa e la monaca di Monza sono la «coppia» più drammatica del capolavoro di Alessandro Manzoni

Lucia e Gertrude sono sorelle e "figlie" di santità e peccato

Lucia e la terribile Monaca di Monza: si possono immaginare due personaggi più lontani tra loro? Eppure tra le due esiste un dialogo fitto, segreto, profondo. L'una comprende l'altra. Lucia prova una paura oscura, profonda, di fronte a quella donna che la cerca forse per lenire, per addolcire un'altra paura, non meno profonda. Ma nessuna delle due si sottrae all'altra. E quando Gertrude affiderà a Lucia la finta ambasciata che farà cadere la povera ragazza nelle mani degli emissari dell'Innominato, Lucia, pur pervasa dai presentimenti, obbedirà, così come anche Gertrude obbedisce a chi è più forte. Tante cose le uniscono: tutte e due sono orfane di padre, Lucia perché è morto, Gertrude perché è la figlia non amata; tutte e due si sottomettono a una forza più grande e senza nome.

La loro paura è la stessa, nel segreto del parlatorio, attraverso la grata, una conversazione segreta si svolge. Ce le figuriamo stranamente somiglianti, della stessa altezza, una pura come una rosa, l'altra devastata da una vita già troppo lunga - e ha solo venticinque anni - e segnata da un assassinio. Eppure simili. Il colorito di Gertrude è pallido, come la colpa ma anche come la morte. Gertrude vorrebbe diventare niente, trascolorare nel volto, nella mente e nel passato di Lucia. Cedendo ancora una volta al potere, com'è accaduto dal giorno della sua nascita, Gertrude avvia Lucia verso il rapimento: ne è addolorata, ma una volta abbracciato il male non si potrà che ripeterlo. Eppure invidia Lucia, che quantomeno potrà uscire da questa prigione, andare verso un destino che forse sarà meno orribile di quel che si pensi. Molte parole ciniche, molto riso amaro attraversano i pensieri della Monaca di Monza, senza però cancellare una speranza: rinascere con lei, andare via, sparire, lasciare quella prigione che è la vita stessa e andare, affidarsi al caso - perché già poter confidare nel caso è, per questi infelici, una promessa di felicità.

Gertrude non invidia la purezza di Lucia, invidia il suo passato senza delitti, che disegna un futuro nel quale tutto è ancora possibile.

E così, attraversando lo spavento del rapimento e assistendo al non immaginabile mutamento del cuore di un uomo terribile - un mutamento che lei stessa, senza proporselo, mette in moto - Lucia diviene lo strumento di una strana resurrezione: l'Innominato non la consegnerà a don Rodrigo, e l'azione di Gertrude conoscerà una sorprendente deviazione, la condanna alla ripetizione del delitto è cancellata, chi ha fatto il male può tornare a fare il bene.

Lo psichiatra Eugenio Borgna osserva, acutamente, che il momento più terribile della vita di Gertrude è quando, in educandato, scopre che alcune delle sue compagne si sposeranno, avranno una famiglia. Se, dice Borgna, tutte le sue compagne fossero state destinate al chiostro, forse Gertrude si sarebbe sentita partecipe di un destino comune, avrebbe potuto non diciamo abbracciare la propria sorte, ma scegliere di abbracciarla, considerare non irreale questa ipotesi. Dove il disamore di un padre non può giungere, possono giungere le circostanze fortuite della vita.

Di qui la crudeltà, il fatale consenso alle profferte di Giampaolo Osio detto Egidio, l'uccisione della conversa, la sua testa ritrovata in una grata, là dove si consuma (consumerebbe) il quieto lavoro dei campi. Di qui la schiavitù non solo al volere del padre ma alla reiterazione del male.

Ma la catena degli eventi muta, la rigenerazione del male può essere interrotta, qualcosa di nuovo può accadere.

La cura che Manzoni pone nel mettere al mondo Lucia è come l'introduzione, l'avant-propos di questa deviazione. Quello a cui assistiamo è, da un lato, un parto, una generazione dal nulla: di Lucia conoscevamo solo il nome, ma poi la madre, treccina dopo treccina, bottone dopo bottone, seta dopo seta, le dà un corpo, un passo, uno sguardo schivo ma non sottomesso, che si abbassa ma poi sa alzare occhiate di fuoco. Occhiate con le quali l'anima, naturalmente disposta, interroga il mondo, lo sfida - nulla di ambiguo: la sfida è l'atteggiamento più naturale della conoscenza verso il mondo.

C'è tutto un fuoco in questa ragazza, un erotismo non trattenuto ma solo condotto secondo una natura che comprende anche pudore e umiltà. Che sia stato uno dei suoi sguardi ad accendere di desiderio don Rodrigo? La purità, lo sappiamo, è destinata ad essere fraintesa dai corrotti, che vi leggono solamente sfida erotica, provocazione, le parole insomma alle quali sono stati abituati e che hanno - quel che è peggio - sostituito altre parole, più umane, che anche don Rodrigo deve aver sentito nella sua vita, e che conserva in un angolo oscuro della memoria finché un uomo come lui - il suo doppio speculare, padre Cristoforo - le ridesterà, avendole a sua volta dovuto ridestarle dentro di sé.

La venuta al mondo di Lucia ha tutto l'aspetto di una partenogenesi. Un uomo tribolato assiste al sorgere di questo personaggio quasi assurdo, improbabile ma splendido, e si rende conto che lei e solo lei rende possibile il racconto dei dolori, dei disastri, delle frane della storia. Se la storia s'incarna nell'infelice Gertrude, Lucia è la sola a renderle giustizia: questo Gertrude lo sa, lo sa Lucia, e questo è ciò che passa attraverso quella grata.

L'identificazione dei due personaggi è impressionante: anche Gertrude aveva amato il suo piccolo Renzo, un paggio con il quale era sorto un piccolo amore. Ma il padre scoprì il biglietto infame, tremò al pensiero di dover dividere il patrimonio, primo passo verso la dissipazione, e così fu prigione. Lucia viceversa nasce senza padre, senza qualcuno che possa sorprenderla con un biglietto d'amore in mano. La sua dolorosa ma trionfante storia con Renzo è anche in qualche modo la vittoria postuma di Gertrude, che Lucia porta dentro di sé - Lucia nasce portando Gertrude dentro di sé, perché Lucia è Gertrude. Il modello è lo stesso di Tonio e Gervaso. Esse sono la sorella buona e quella crudele, ma qualcosa interviene a spazzare via, a far collassare la differenza.

Tutto il romanzo si svolge secondo coppie. Tonio è Gervaso. Agnese è Perpetua. Lucia è Gertrude. Don Rodrigo (una sorta di Messia nero) è Padre Cristoforo (portatore di Cristo) - anche qui ecco la stessa eterogenesi. Renzo è buonissimo ma è anche uno dei bravi - su questo punto, Manzoni è esplicito dipingendo Renzo con un'aria di braveria e assegnandogli per due volte il destino del gaglioffo che in qualche modo è, così come i bravi - si veda la meravigliosa scena in cui l'Innominato, dopo la conversione, riunisce i suoi scagnozzi per dettare loro le nuove regole.

E poi ancora: l'Innominato e il Cardinale.

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