Cultura e Spettacoli

Nina non aver paura di "uccidere" Stalin

La Berberova racconta il processo dove il primo dissidente sovietico fece a pezzi il comunismo

Nina non aver paura di "uccidere" Stalin

Il legal thriller più bello? Il caso Kravcenko di Nina Berberova. Direte voi: è un documento storico, non un legal thriller. Vero. Però gli elementi ci sono tutti: abbiamo un assassino (Stalin), un eroe (il dissidente Kravcenko), una sfilata di testimoni, avvocati battaglieri, un saggio presidente del tribunale, un pubblico delle grandi occasioni (Aragon, Sartre e tanti altri scrittori). Poi c'è lei. Nina Berberova, nata a San Pietroburgo nel 1901 in una famiglia di altissimi dignitari dello zar, nel 1922 fugge a Berlino e nel 1925 approda Parigi dove vivrà fino al 1950. Dopo questa data, Nina sceglie come patria adottiva gli Stati Uniti. Morirà nel 1993.
Autrice di una biografia di Cajkovskij in cui per la prima volta si parlava della omosessualità del compositore (Il ragazzo di vetro. Cajkovskij, Guanda), la Berberova si è cimentata nel romanzo e nella poesia. La nuova edizione de Il caso Kravcenko (introduzione di Marco Belpoliti, Guanda, pagg. 296, euro 18,50) spiega il motivo per cui Nina è considerata una delle grandi autrici del XX secolo. Il resoconto del processo, pubblicato prima su rivista e poi in volume, è strabiliante per concisione, precisione e finezza nel cogliere i dettagli (una risata soffocata, una voce dal pubblico, un gesto del procuratore).
La lettura è elettrizzante. Ma chi era Viktor Kravcenko? È stato uno dei primissimi dissidenti. Durante la guerra viene assegnato alla ricerca di risorse militari. In altre parole: viene inviato negli Usa col compito di procurare materiale da spedire nell'Unione sovietica (i due Paesi erano alleati). Nel 1944 però diserta e chiede asilo politico agli Stati Uniti. Nel 1946 pubblica le sue memorie, che usciranno in Italia due anni dopo col titolo Ho scelto la libertà (Longanesi). Il contenuto è esplosivo. Kravcenko racconta le conseguenze tragiche della collettivizzazione dei campi in Ucraina, ricostruisce il clima di terrore provocato dalle purghe staliniane, mostra un Paese precipitato nella miseria materiale e morale.
I comunisti europei iniziano una campagna di diffamazione contro Kravcenko. Si distingue, tra gli altri, il settimanale politico-letterario Les Lettres françaises con una serie di articoli firmati con uno pseudonimo. Tra le accuse rivolte al dissidente, c'è anche quella di non aver scritto il libro e di essere espressione dei menscevichi fuggiti nel continente americano.
A questo punto, Kravcenko fa partire una querela per diffamazione che culmina col processo celebrato a Parigi tra gennaio e marzo 1949. Il processo è scioccante. I testimoni della difesa si scoprono, uno a uno, come mentitori imboccati direttamente da Mosca. I testimoni dell'accusa raccontano storie raccapriccianti di morte e povertà. Il momento clou è la deposizione allucinante di Margarete Buber-Neumann. Sposata con Heinz Neumann, membro del Politbüro e parlamentare del Reichstag, rimane vedova al termine della fuga in Russia per evitare le persecuzioni di Hitler. A Mosca Neumann viene arrestato e fucilato come elemento sospetto. Margarete è spedita in un Gulag kazako. Nel 1940, in seguito agli accordi tra Hitler e Stalin, viene restituita alla Germania. Ma essendo comunista finisce subito nel lager di Ravensbrück. In seguito, proprio nel 1949, pubblicherà le sue memorie: Prigioniera di Stalin e Hitler (Il Mulino).
Il tribunale non lascia scampo. Le menzogne sovietiche sono smontate, anzi: sbriciolate. Presto fu chiaro che i veri imputati erano la Storia e il comunismo. Dopo il processo Kravcenko c'era poco da gingillarsi con il socialismo reale. Chiunque fosse dotato di occhi e orecchie non tappate da cerume ideologico non poteva non sapere. La propaganda comunista era spazzatura oltre il limite della decenza: questo fu il risultato ottenuto con la decisione di far testimoniare automi teleguidati dal Cremlino.
Nell'aula passò gran parte dell'intellighenzia francese ma per buttare giù il muro del silenzio (e della complicità morale) ci vorranno ancora decenni, quando nel 1973 arriva in Europa il microfilm di Arcipelago Gulag, opera monumentale del futuro premio Nobel per la letteratura, il grande Aleksandr Solzenicyn. L'anno successivo Solzenicyn venne condotto in Germania Ovest e privato della cittadinanza: è esiliato. In Italia ci fu qualcuno (Giorgio Napolitano) che giudicò positiva la decisione sovietica. In Francia, Arcipelago Gulag scatena una tempesta e un regolamento di conti (intellettuali). In Italia scrittori e artisti fingono che sia successo nulla. E questo atteggiamento offre la misura esatta del pantano culturale in cui siamo vissuti e ancora viviamo.

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