Cultura e Spettacoli

Da Klimt ai click, tutto a fior di labbra

Un saggio sull'educazione sentimentale degli adolescenti. Fra timidezza e app

Da Klimt ai click, tutto a fior di labbra

Se condividete il tetto con un figlio che alterna bronci malmostosi a slanci di coccole, che spippola alla velocità della luce sul cellulare o sulla Playstation, saprete già: intercettarne lo sguardo è un successo, estorcere un dialogo più lungo di cinque minuti, un record. Ora immaginate che l'argomento di conversazione mentre siete seduti l'uno accanto all'altro sul divano sia il primo bacio (l'hai già dato? E a chi? E com'è andata?). Lo so: la situazione vi pare irrealistica ma, al netto del disagio e delle risatine nervose, con un po' di allenamento e tanta buona volontà, ci si può arrivare. «Non c'è niente di cui non si possa parlare con i nostri figli», ammonisce Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell'età evolutiva che con Barbara Tamborini, psicopedagogista con la quale condivide anche una famiglia numerosa, ha dato alle stampe l'ennesimo vademecum a uso e consumo di genitori alla perenne ricerca di consigli: Il primo bacio. L'educazione sentimentale dei nostri figli preadolescenti (De Agostini, pagg. 240, euro 15, in libreria dal 22 gennaio).

Su quel crinale necessario da superare per diventare grandi - una scarpinata sempre più anticipata: ormai i medici parlano di preadolescenza a 9/10 anni - il primo bacio è rito di passaggio, tappa ineludibile. Non si scorda mai, dice il proverbio, e la scienza ci spiega perché: è la prima volta in cui il corpo subisce uno «shock emotivo» dato dalla scarica di ossitocina derivante dal contatto delle labbra, ricche di terminazioni nervose. La sessualità a venire comincia da lì e per questo, avvertono Pellai e Tamburini, è un evento di cui i genitori devono sottolineare l'importanza e il valore. Niente imbarazzi, allora: si apre il cassetto dei ricordi e via a parlar di sé (vietato barare). Per «stimolare pensieri complessi sulla sessualità» serve un'iniezione di vita vera: la iGen, termine coniato dalla psicologa Jean Twenge per definire una generazione di iperconnessi, insicuri e isolati, cresce infatti nel paradosso di una marea di informazioni disponibili in Rete (in Italia, due studenti delle medie su tre vede film porno) e della goffaggine nei rapporti di persona. «Ci siamo fidanzati su WhatsApp/è finita in 3G», cantano in Insta Lova Marracash e Gué Pequeno; tutto, bacio incluso (è ora sul mercato un'app per baciarsi attraverso lo schermo) si consuma a distanza (emotiva, fisica) di sicurezza.

E invece - raccontiamolo ai ragazzi - è proprio quel misto di imbarazzo, insicurezza ed eccitazione ad aver reso le nostre prime volte, nel bene e nel male, memorabili.

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