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La democrazia muore? Studiare Roma ci aiuta a salvarla

Lo storico Edward J. Watts ricostruisce la crisi che portò dalla repubblica verso la tirannia. Per capire l'oggi

La democrazia muore? Studiare Roma ci aiuta a salvarla

Cosa porta una repubblica verso la dittatura? Quando le regole condivise che consentono la dialettica delle forze politiche collassano? È difficile dare una risposta univoca, bisogna andarsela a prendere all'interno dei sistemi democratici che collassano come l'Italia alle soglie del Ventennio fascista, il Cile in bilico tra le utopie pauperiste di Allende e la stretta militare di Pinochet... Oppure nella Francia ottocentesca che cede alla tentazione bonapartista. Ma si rischia sempre di farsi forviare da quello che Guicciardini chiamava il «particulare», quello che rende ogni passaggio storico diverso dall'altro. Eppure trovare delle linee di faglia nella crisi politica delle democrazie è un tema importante. Soprattutto in un'epoca come la nostra in cui il sistema democratico del consenso sembra mostrare la corda in più Paesi (basti pensare alla situazione difficile della Francia o a certi populismi).

Lo storico americano Edward J. Watts dell'università della California ha affrontato il problema in una maniera particolare. Essendo un antichista si è chiesto: qual è stata la Repubblica più duratura della storia antica? Quella che ha fatto da modello a tutte le altre? La Repubblica Romana che vede la sua origine nella cacciata dei re nel (509 a.C.) e si è conclusa con la definitiva presa del potere da parte di Ottaviano Augusto (nel 27 a.C.). Ecco allora nascere il suo ponderoso saggio Mortal Republic. How Rome Fell into Tyranny (Basic Books, pagg. 336, dollari 32), che al momento è disponibile solo in lingua inglese.

Perché Roma è un buon soggetto di analisi. In primis, l'abbiamo detto, è un modello che ha ispirato tutta la storia successiva. In secondo luogo perché è una Repubblica che ha mostrato una resilienza straordinaria. Watts fa degli esempi chiari e molto convincenti. Quando Pirro si presentò con le sue truppe macedoni per aiutare Taranto contro i romani pensava di venire in Occidente a dare una bella lezione ad una potenza regionale ed un po' barbara. Pur vincendo la battaglia di Eraclea (280 a.C.) scoprì di avere di fronte un avversario molto ostico. Non solo sul campo di battaglia. Nelle trattative i romani risultavano inflessibili e soprattutto, come il console Gaio Fabrizio Luscino, incorruttibili. Gli inviati di Pirro a Roma, come il grande oratore Cinea, riferirono meraviglie del sistema politico romano. E avevano ragione: senza una costituzione formale, ben quattro organi deliberanti - i comizi curiati, i comizi centuriati, i concili della plebe e il senato - riuscivano a convivere e a mantenere un equilibrio. Un complesso sistema di check and balance consentiva ai magistrati, tra cui spiccavano i consoli e i tribuni della plebe, di governare efficacemente senza che una fazione politica o l'altra si impossessasse del potere.

Il sistema era così rodato che riuscì a resistere anche a momenti di tremendo stress politico militare come quando Annibale, nella Seconda guerra punica (218-202 a.C.), arrivò a minacciare direttamente la sopravvivenza della città. Niente sembrava mettere in crisi i meccanismi politici di Roma, nemmeno le più gravi emergenze. E per essere una città antica il livello di violenza politica sembrava essere bassissimo. E quindi?

Watts vede il primo vero punto di svolta proprio dopo le guerre puniche. Un fiume di denaro piombò sulla città proprio mentre le campagne italiche, che erano state la principale fonte di ricchezza della classe media, iniziarono a frazionarsi sempre più a causa del sistema ereditario e dell'aumento della popolazione. Insomma sistema produttivo in crisi e i potenti della politica che si trasformavano invece in super ricchi in grado di elargire denaro sotto forma di sussidi o di stipendi militari sempre più alti. La politica passò rapidamente dall'essere una questione di reputazione personale ad essere una questione di capacità di spesa. Potenti comandanti militari come la dinastia degli Scipioni potevano disporre di grandissimi bottini e trasformare quei bottini in consenso.

Era una ferita al meccanismo costituzionale ma non ancora una ferita mortale. A fare la differenza fu la violenza politica scatenata dall'arrivo nell'agone pubblico di Tiberio Sempronio Gracco (163-133 a.C.). Tiberio come tribuno della plebe, pur provenendo da alcune delle famiglie più potenti del patriziato, propugnava una legge agraria che restituisse dignità e mezzi economici al ceto medio e alla plebe. La sua legge aveva solide ragioni politiche e sociali ma Tiberio per sostenerla contro i suoi potenti e ricchi avversari minacciò più volte il ricorso alla violenza. Una tumultuosa riunione in cui alcuni dei suoi sostenitori si presentarono armati diede il destro a Publio Cornelio Scipione Nasica Serapione di attaccarlo in armi con la scusa di riportare l'ordine. Gracco fu ucciso e buttato nel Tevere. La città andò sotto choc, non c'era mai stato un omicidio politico di quella portata. Serapione fu allontanato, la legge agraria mantenuta ma... Ma ormai le porte della violenza erano aperte. Anche il fratello di Tiberio Gracco (quasi dei Kennedy del mondo antico) fu ucciso nel pieno della sua ascesa politica. E poi fu il turno di capi popolo come Saturnino o Catilina. Era l'anticamera della guerra civile che poi culminò nei feroci scontri tra Cesare e Pompeo e Antonio e Ottaviano.

E lo scontro portò le persone verso la più grande insicurezza. Anche dopo la sua vittoria il regime di Ottaviano era tutt'altro che solido ma tutti i tumulti che avvennero nei primi anni del suo regno furono in suo sostegno, non contro. La gente non voleva più saperne di Repubblica, preferiva vivere e mangiare.

Questo è un grande ammonimento che secondo Watts non va dimenticato.

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