Cronache

Torna a casa, Alex Riuscito il trapianto con le cellule del papà

Il bambino ha una rara malattia genetica ma ora il sistema immunitario è di nuovo ok

Torna a casa, Alex Riuscito il trapianto con le cellule del papà

Alle volte nelle favole non c'è bisogno dell'«e vissero felici e contenti». Basta solo un «e vissero». Basta solo che vadano avanti perché nessuno ha voglia che si concludano.

La favola che va avanti è quella di Alex, Alessandro Maria Montresor, il bambino nato da genitori italiani che vivono in Inghilterra e che è affetto da una malattia dal nome cattivo e astruso, Linfoistiocitosi emofagocitica (HLH), che da qualche mese è stato trasferito dal Great Ormond Street Hospital di Londra al Bambino Gesù di Roma. Lo scorso 20 dicembre il piccolo era stato sottoposto al trapianto di cellule staminali emipoietiche prelevate dal papà, quello dei due genitori che era risultato più compatibile, allo scopo di ripopolare il sistema immunitario del paziente. Quando, nei giorni prima di Natale, fu data notizia dell'intervento la prudenza era tanta, i rischi di rigetto alti. Oggi, a distanza di poco più di un mese, i genitori di Alex e tutti coloro che in questi mesi si sono appassionati alla sua vicenda possono tornare a respirare. L'intervento è perfettamente riuscito, Alex sta bene e sta preparando le sue cose per andarsene dall'ospedale del Gianicolo. «Nell'arco delle quattro settimane successive al trapianto - si legge in un comunicato del Bambino Gesù - non si sono registrate complicanze né sul piano infettivo né sul piano del rigetto, il problema principale per situazioni di questo tipo. Alla luce di queste evidenze il percorso trapiantologico può dirsi concluso positivamente». La prosa è quella che è ma a chi importa?

Naturalmente la strada che attende Alex resta difficile ma da ieri è un po' meno in salita. Il piccolo - che dipendeva da un farmaco salvavita, l'Emapalumab, sospeso qualche giorno fa - dovrà tornare al day hospital ogni settimana per i controlli del caso, poi sempre meno frequentemente. «I rischi - spiega Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia e Terapia cellulare e genica dell'ospedale romano - per i pazienti di questo tipo dopo la dimissione sono principalmente legati allo sviluppo di complicanze infettive».

Alex, che in primavera compirà due anni, ha decine di migliaia di fan in Italia, che a novembre fecero lunghe code in molte città d'Italia per testare la loro compatibilità alla donazione di midollo osseo. La famiglia, infatti, non era riuscita a trovare un donatore compatibile in Gran Bretagna, nemmeno attingendo al registro nazionale dei donatori. Fu individuato un solo possibile soggetto, che però si sarebbe reso disponibile solo da gennaio. Troppo tardi per i tempi del destino. Così a Roma fu studiata una procedura che prevedeva la donazione da un genitore. Una tecnica all'avanguardia ma piena di rischi e incognite. Che ora sembrano però un lontano ricordo. «Ci auguriamo di aver raggiunto la punta dell'Everest - racconta emozionato il papà Paolo Montresor - e piano piano di stare scendendo. Sarebbe bello un mondo in cui tutti i malati abbiano più di un donatore, ma ora ci sono famiglie che ci ringraziano perché ne hanno trovato almeno uno. La donazione non è invasiva né pericolosa. Ci prendiamo un po' di merito per questo, ma il resto va a tutte le associazioni e alle istituzioni che hanno permesso tutto questo in un tempo così breve».

La storia di Alex ha avuto anche un effetto positivo: in soli due mesi e mezzo, dall'inizio dello scorso novembre, sono 23mila i nuovi donatori italiani di midollo che si sono iscritti al registro nazionale.

«In pratica grazie ad Alex si è raddoppiato il numero dei donatori in un anno», gongola Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti.

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