Politica

«Scatti osé, Trump mi ricatta» Il re di Amazon al contrattacco

Jeff Bezos, che è anche proprietario del «Washington Post»: «Tentata estorsione dal tabloid vicino al tycoon»

Valeria Robecco

New York Della fine del matrimonio tra Jeff Bezos e la moglie MacKenzie hanno parlato tutti i giornali scandalistici, ma ora dal numero uno di Amazon emerge una rivelazione clamorosa. Il fondatore e Ceo del colosso dell'e-commerce, nonché editore del Washington Post, ha denunciato di essere stato oggetto di un «ricatto» e di un «tentativo di estorsione» da parte del National Enquirer, il tabloid controllato dalla società American Media Inc (Ami) di proprietà di David Pecker, alleato e amico di vecchia data del presidente americano Donald Trump. Il magazine - ha spiegato in un lungo post sulla piattaforma online Medium - lo ha minacciato via email di pubblicare delle fotografie imbarazzanti di lui e dell'ex giornalista televisiva Lauren Sanchez, con cui ha una storia.

Tra gli scatti personali, che i due si sono scambiati via sms, ce ne sarebbero anche alcuni che ritrarrebbero l'uomo più ricco del mondo completamente nudo. Il motivo della minaccia è emerso da una delle email inviate dal legale della Ami a uno dei più stretti collaboratori di Bezos, in cui si chiede di fermare le indagini avviate dal Ceo di Amazon per scoprire come il National Enquirer abbia ottenuto i messaggi e le immagini che rivelavano la sua relazione con Sanchez. L'Enquirer, ha scritto Bezos, voleva che «usasse buon senso», dichiarando pubblicamente che lui e il suo consulente per la sicurezza, Gavin de Becker, non avevano elementi per dire che lo scoop dell'Ami fosse politicamente motivato o influenzato da forze politiche. Bezos, però, ha rifiutato, e ha deciso di pubblicare le e-mail. Per la prima volta, puntando il dito contro il Commander in Chief. «La mia proprietà del Washington Post è una cosa molto complicata. È inevitabile che certe persone potenti oggetto della copertura del giornale pensino che io sono un loro nemico - ha affermato - E il presidente Trump è una di queste, come appare ovvio dai suoi tanti tweet». «Naturalmente non voglio che foto personali vengano pubblicate, ma non voglio nemmeno partecipare alla loro ben nota pratica di ricatti, favori politici, attacchi politici e corruzione», ha scritto Bezos, spiegando che nonostante sia complicato possedere il Washington Post non rimpiange di aver investito in una «istituzione fondamentale con una missione fondamentale».

Nel post ha preso di mira non solo la passata cooperazione tra la Ami e il tycoon, ma anche le note connessioni tra il gruppo editoriale e il governo dell'Arabia Saudita, nel mirino per l'assassinio dell'editorialista del Wp, Jamal Khashoggi. L'editore del National Enquirer si è difeso affermando che «nel coprire la storia di Jeff Bezos crediamo di aver agito legalmente»: «Vista comunque la natura delle accuse, abbiamo deciso che indagheremo tempestivamente e scrupolosamente sui fatti, riservandoci di prendere tutte le azioni necessarie». Secondo alcune fonti citate da Bloomberg News, nel frattempo, anche i procuratori federali di New York hanno deciso di indagare sulla condotta del National Enquirer e su come ha gestito le storie sulla relazione extraconiugale del fondatore di Amazon. Dopo la denuncia di Bezos, anche il giornalista Ronan Farrow, autore dello scoop del New Yorker che ha aperto la strada a una serie di denunce di molestie sessuali a Hollywood, ha detto di essere finito nel mirino di American Media.

Rivelando in un tweet di essere stato ricattato, «insieme ad almeno un altro importante giornalista», per le indagini sui rapporti fra il National Enquirer e Trump.

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