Controcultura

Si alza il sipario sul teatro (barocco) di Maragliano

Nelle "casse" processionali e nei gruppi lignei c'è la forza persuasiva di Bach

Si alza il sipario sul teatro (barocco) di Maragliano

Nel mondo barocco, arte e teatro si confondono e, come mai prima, le arti si sovrappongono, si intersecano. Architettura, pittura e scultura concorrono a un medesimo obiettivo: stupire. Così è in Borromini, così è in Bernini, nella cappella Cornaro in santa Maria della Vittoria, con Santa Teresa trafitta dalla freccia di un angelo, farfallone amoroso, e da scenografici raggi di luce che scendono dal cielo. Teatro, com'è teatro la prospettiva di palazzo di Borromini, e teatro persino l'atteggiamento spavaldo e insolente del busto dell'uno e dell'altro Scipione Borghese. Teatro a Roma. E in Lombardia i Sacri Monti, immaginati per quello che Giovanni Testori definì «il gran teatro montano». A Napoli si trasformerà nel teatrino infinito dei presepi con il regista Sammartino. Mentre a Genova, e in Liguria, prevarrà la Pasqua delle Passioni, con le macchine, qui dette «casse», del Maragliano.

È una festa barocca quella che vede agitarsi in alto, come su veri e propri palcoscenici, i protagonisti della nostra religione, nelle diverse fasi che vanno dalle danzanti annunciazioni alle melodrammatiche deposizioni. Giustamente il curatore di questa mostra unica, «Maragliano 1664 - 1739. Lo spettacolo della scultura in legno a Genova», in Palazzo Reale a Genova, Daniele Sanguineti, intende rappresentare «lo spettacolo della scultura in legno a Genova». Fra tante mostre inutili, non necessarie, talvolta pericolose, questa si distingue per la formidabile ma legittima movimentazione di gruppi di grandi dimensioni (quasi sempre al vero), prevalentemente provenienti da chiese e confraternite delle diocesi liguri, dopo opportuni e avveduti restauri che hanno recuperato luminose superfici policrome e l'integrità dei legni, con l'impegno assiduo delle Soprintendenze e il contributo delle Fondazioni bancarie. Ho visitato chiese e oratori a Savona, come quelli di San Domenico, di San Michele arcangelo, di Nostra Signora di Castello, privati delle loro «casse» per il nobile obiettivo corale di restituirle alla conoscenza e alla consapevolezza dei devoti e dei cittadini. Questo nuovo teatro, così ricco e vario, produce certamente stupore, com'era nelle intenzioni, e restituisce finalmente a Maragliano la giusta dimensione creativa.

Lo scultore, dopo la lontana ma universale lezione di Bernini, a Genova si era potuto formare davanti all'estenuato San Sebastiano di Pierre Puget, e soprattutto studiando il più grande virtuoso tra gli artisti del barocco nel nord: il genovese Filippo Parodi, che si espande fino al Veneto orientale, con opere infiammate tra Padova e Venezia. Maragliano di lì parte, e vuole restituire, nell'intaglio del legno da altri mirabilmente colorato, come fonti e documenti ci ricordano, la forza persuasiva della musica di Bach. Maragliano è in sintonia con la grande scultura spagnola e austriaca che accompagna, con più intense o meno intense cromie, il barocco verso il rococò. La committenza contribuisce a esaltare l'istinto teatrale di Maragliano, esortandolo a imprese emotivamente e sentimentalmente sempre più spericolate, come si intende dalla richiesta dei fratelli spagnoli Ignacio e Rodrigo Longman. Nella Trasverberazione di santa Teresa, «l'angelo del Signore ne trasmette il Cuore con la freccia d'oro che destò la Santa come in un deliquio accesa da Amor di Dio»; e, ancora, «quando orava diveniva accesa come in un'estasi soppraccesissima nell'amore divino». E non bisogna dimenticare che l'euforia barocca aveva avuto a Genova un focolare alimentato prima da Rubens e Van Dyck e poi dal Baciccio, il genovese Giovanni Battista Gaulli, che spopola a Roma e lascia a Genova una scia nella quale si agiteranno le acrobazie, talvolta irragionevoli, di Gregorio de Ferrari e Domenico Piola, diffusi in tutti i palazzi e in tutte le chiese e oratori di Genova.

Sotto quei cieli infiniti, popolati di angeli e santi annegati nelle nuvole, Maragliano provvederà ad animare di crocifissi, flagellazioni e compianti la terra degli uomini, avezzandoli a sentire meno grave il loro dolore quotidiano, nel lavoro e nella fatica, davanti alla sofferenza patita da Cristo per la crudeltà degli uomini agli umili ben nota. La festa del dolore che, nelle processioni dei giorni della passione o negli spazi di sosta nelle chiese, Maragliano assume come suo tema di propaganda della fede. E, vedendone i risultati, non nei singoli gruppi che potrebbero assomigliare ad altari o sculture, bensì raccolti insieme come espressione di un compiuto progetto, esse definiscono un genere che miscela suggestione devozionale e raffinata volontà d'arte nella rappresentazione di emozioni che erano state primamente espresse nei compianti quattrocenteschi e cinquecenteschi in terracotta, prevalentemente in Emilia e in Lombardia; e ora trovano nella scultura in legno dipinta, come era già stato nel Medioevo, la tecnica più propizia per determinare un risultato emotivo, persuasivo che, dagli spazi di meditazione e concentrazione, consentiva il trasferimento nelle strade delle città.

Per questo, oltre all'impresa di scultore nella serie di madonne animate, Maragliano e la sua bottega si specializzano e si esprimono, con grande effetto, nel genere delle «casse»: imponenti macchine processionali che si trasferivano, con rituali, musiche e canti (di cui resta ancora tradizione) e, con il tempo favorevole, nelle strade di Genova e delle altre città e borghi liguri. Esibizione e trasporto. La processione delle «casse» è un rito popolare ma è, soprattutto, uno spettacolo teatrale con il movimento lento dei portatori, i fumi dell'incenso, le preghiere, le litanie, che accompagnano l'avanzare delle sculture colorate, nella illusione della verità, come quella dei devoti nei lenti cortei. Carlo Giuseppe Ratti, il biografo settecentesco di Maragliano, racconta, soprattutto per i «forestieri», come oggi sarebbero i turisti per devozione religiosa, che le sculture sono scolpite a grandezza naturale e che il loro peso è tale da rendere necessaria la presenza di almeno venti uomini per l'uscita in processione; e che «eleganza» e «naturalezza», con il loro portato di emozioni, in un solo «gruppo di scultura» parevano superare «l'umana virtù»; interpretando con ciò l'emozione viva delle masse, comunque attive nelle processioni e travolte dall'illusione di posare gli occhi su quelle sculture dipinte, come fossero di carne ed ossa.

In questo Maragliano, con il suo teatro di strada e la sua pietà suggestiva, è il primo degli iperrealisti.

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