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La figlia del rabbino uccisa a 19 anni I ministri: «Pena di morte al terrorista»

La chiedono i responsabili di Giustizia e Sicurezza. Il killer è un palestinese che ha trovato rifugio a Ramallah, culla integralista

La figlia del rabbino uccisa a 19 anni I ministri: «Pena di morte al terrorista»

Gerusalemme A volte la persecuzione terrorista (solo l'anno scorso 13 morti, centinaia di feriti alle fermate degli autobus, bambini neonati uccisi, impiegati innocenti giustiziati da compagni di lavoro, 341 missili da Gaza su case e scuole) cui è sottoposta Israele arriva all'estremo, e allora si solleva di nuovo la richiesta della pena di morte. Così è stato anche questa volta: il viso sorridente di Ori Ansbacher, figlia di un noto rabbino, bella quanto lo si può essere a 19 anni, stringe il cuore a tutta Israele dopo che nel week end è stato ritrovato il suo corpo accoltellato e nudo in un parco di Gerusalemme. Immediatamente le ricerche della Shin Beth, i servizi di sicurezza interna, e della polizia hanno condotto tramite l'incrocio sofisticato di informazioni a un ventinovenne di Hevron, Arafat al Rifaiyeh.

Il giorno stesso aveva lasciato la sua casa con un coltello per raggiungere Beit Jalla, presso Betlemme. Da là e facile raggiungere Gerusalemme evitando i check point, e l'uomo è andato a caccia. Dopo avere ucciso Ori, una volontaria della natura, nei boschi che hanno segnato il suo destino, è stato rintracciato e catturato a Ramallah, dove aveva probabilmente sostegno e amici. E da cui ogni giorno parte il messaggio ripetuto senza fine dalle moschee alla tv ufficiale ai discorsi politici: parla della santità del terrorismo antiebraico, distribuisce stipendi ai terroristi e alle loro famiglie, premia i «martiri» cui vengono dedicate piazze e scuole.

Lo Shin Beth fra pietre e spari dei difensori di Arafat ha catturato l'assassino, e mentre Netanyahu lodava l'efficienza dell'ordine pubblico e il Paese risuonava dei pianti per Ori, ieri alcuni chiedevano la pena di morte, altri il taglio definitivo del premio in denaro che arriva, tramite l'Autorità Palestinese, nelle tasche dei terroristi, e in quelle di Rifaiye stesso. Secondo la legge palestinese ha diritto a decine di migliaia di euro fino alla fine dei suoi giorni. La Ap ha allocato sul suo budget del 2018, 183 milioni di dollari per le famiglie dei martiri, spende il 7% del bilancio per stipendi e compensi, e alla minaccia di Israele di trattenere il denaro Abu Mazen ha risposto che «non accetteremo un taglio dei salari alle famiglie dei martiri e prigionieri...anche se ci resterà un solo penny».

Ma probabilmente il Gabinetto taglierà tutti i finanziamenti che possono finire nelle mani dei terroristi, Netanyahu lo ha già promesso, mentre si tiene più coperto sulla pena di morte anche se ritiene legittimo porre il problema. La ministra della Giustizia Ayelet Shaked la richiede, e così il ministro della sicurezza Gilad Erdan. La possibilità già esiste in Israele, ma è stata usata una volta sola, nel 1962, quando è stato giustiziato Adolf Eichmann dopo il processo epocale che mise a nudo le sue responsabilità nella Shoah.

La pena di morte per i terroristi ha sempre trovato dei sostenitori, ma alla fine non si è mai staccata dai preliminari parlamentari. Nel 2015, quando Yvette Lieberman la portò in discussione, fu Netanyahu che vi si oppose fino a sconfiggerla 94 voti contro 6.

Adesso probabilmente andrà più vicina all'obiettivo perchè siamo in campagna elettorale, mentre la Corte Suprema discute la misura della distruzione della casa del terrorista, l'unica forse efficace per distogliere dalle sue intenzioni una persona che sostiene di amare la morte quanto noi amiamo la vita.

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