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Sardegna, il Pd candida un senegalese che gestisce uno dei più controversi centri d'accoglienza

Il senegalese Cheikh Diankha è candidato nella lista del Pd per le regionali: si tratta del responsabile del Cas di Li Lioni, struttura realizzata dentro una ex discoteca che dal 2016 è al centro di inchieste giornalistiche e parlamentari

Sardegna, il Pd candida un senegalese che gestisce uno dei più controversi centri d'accoglienza

La Sardegna è attraversata in queste ore da vibranti proteste che, iniziate dai pastori per via del prezzo del latte ritenuto nocivo per la propria attività, mostrano comunque una situazione generale dell’isola dove monta la tensione in vista delle regionali. Proprio dalla provincia ritenuta al momento epicentro della protesta, ossia quella di Sassari, arriva una storia che non sta mancando di agitare politica ed opinione pubblica locale durate questa delicata campagna elettorale.

Tutto parte da un nome: Cheikh Diankha. Ai più forse non dice molto, ma tra Sassari e Porto Torres è ben conosciuto e la sua nomina rimanda al business dell’accoglienza di migranti. Diankha è senegalese e nel giugno del 2016 è al centro di diversi articoli della stampa locale, in cui si spiega il valore dell’iniziativa di un centro d’accoglienza posto tra Sassari e Porto Torres: il nome della società che gestisce il centro è Janas, situato nella località di Li Lioni. Parole, quelle di Cheikh Diankha, che parlano di un’integrazione riuscita. Gli ospiti del centro infatti, tornano a fare il lavoro già svolto in patria prima di approdare in Italia, ossia i contadini. Le terre, racconta all’epoca Diankha, vengono coltivate dai migranti ospitati a Li Lioni.

Il senegalese parla come responsabile del centro Janas, le sue parole vengono riferite anche all’Ansa. Da qui una grande attenzione mediatica, che spinge una troupe dell’americana Pbs fino in Sardegna. Ma ecco che iniziano le amare sorprese. Il responsabile del centro d’accoglienza non risponde alle chiamate, nelle terre dove in teoria dovrebbero esserci i migranti al lavoro nella pratica non si trova nessuno. Malcolm Brabant, autore del reportage, pubblica il suo articolo su questa vicenda il 16 settembre 2016. Il giornalista statunitense afferma di essere arrivato in Sardegna proprio per mostrare un esempio di integrazione riuscita, a fronte di dati che parlano di un 80% di donne nigeriane costrette alla prostituzione appena giunte in Europa. Ma quella che riprende con i suoi operatori, è una situazione del tutto diversa da quanto prospettato alla vigilia e dagli articoli di alcuni mesi prima.

Dopo una settimana di presenza nel nord della Sardegna, Cheikh Diankha non risponde alle chiamate ed allora i giornalisti della Pbs decidono di andare a trovare il senegalese direttamente nel centro di Li Lioni. Qui la situazione appare ancora più grave di quanto si potesse immaginare. Il centro definito poche settimane prima “modello”, altro non è che una ex discoteca denominata “Kiss Kiss” chiusa per presunti giri di prostituzione nell’ambito di un blitz delle forze dell’ordine chiamato “Moulin Rouge”. La struttura, tra le altre cose, si trova in piena campagna e per raggiungerla occorre percorrere una strada sterrata adiacente o quasi alla Ss 131, la statale cioè che collega Porto Torres con Sassari. Il contesto viene ritenuto piuttosto squallido: non vengono evidenziati, in particolare, lavori di ristrutturazione tali da trasformare un ex locale notturno in centro di residenza.

La troupe della Pbs non è comunque l’unica ad interessarsi al caso. In quei mesi raggiunge Li Lioni anche l’Ong “LasciateCIEntrare”, che si batte per facilitare controlli all’interno delle strutture di accoglienza. Gli attivisti denotano le stesse criticità evidenziate dai giornalisti americani, per di più nel loro report di luglio 2016 descrivono la situazione come poco consona all’accoglienza, anche per via della lontananza del centro dai più prossimi centri abitati. Nell’ottobre 2016, scoppia anche una mega rissa tra nigeriani e somali ospiti di Janas, nei mesi successivi vengono riportate dai media locali altri episodi di tensione ed in almeno un caso alcuni migranti occupano la vicina Ss 131.

La situazione è quindi tutt’altro che tranquilla. Il responsabile della struttura non appare molto tenero con gli attivisti dell’Ong sopra citata. Più di una volta Cheikh Diankha, come si legge su La Verità, allontana infatti coloro che provano a parlare con lui. Nei primi mesi del 2017, questi episodi raccolgono l’attenzione di alcuni politici locali. Vengono predisposte visite ad opera di delegazioni di consiglieri regionali e consiglieri comunali. Uno di questi, Maurilio Murru del M5S, a La Verità dichiara le impressioni già riportate dalla troupe americana e dalla Ong.

Vengono realizzati sul centro di Li Lioni alcuni dossier parlamentari. Si scopre, tra le altre cose, che nonostante le critiche ed i report poco lusinghieri, la Janas espande le proprie attività di accoglienza e nel 2017 incassa 2.150.000 Euro per la gestione dei suoi centri che comprendono, oltre a quello di Li Lioni, anche le strutture di Campanedda e La Corte, sempre in provincia di Sassari. Si scopre inoltre che la sede legale della Janas corrisponde all’indirizzo di uno dei soci e che, soprattutto, il senegalese Cheikh Diankha non sembra avere incarichi ufficiali all’interno della società.

Cosa c’entra tutto questo con le regionali del 24 febbraio? Semplice: il senegalese che parla a nome della Janas pur non avendo ruoli specifici sulla carta, è candidato con la lista del Pd. La circostanza, secondo diverse fonti locali, avrebbe messo in imbarazzo gli stessi vertici del partito. Addirittura, come riferisce ancora La Verità, la segreteria cittadina del Pd avrebbe dichiarato di non conoscere Cheikh Diankha. Una presa di distanze che si giustifica con il fatto che quel reportage girato nel 2016 dalla Pbs, oggi è virale in provincia di Sassari. E mette in difficoltà ovviamente il Pd.

Ignazio Mangrano riesce ad intervistare telefonicamente Diankha, il quale respinge le accuse ed afferma che il centro di Li Lioni è regolarmente autorizzato. Ma questo non placa le polemiche.

E, a pochi giorni da voto, rischia di essere un vero boomerang per la parte politica che decide, nonostante tutto, di inserirlo in lista.

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