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"In Venezuela si rivoti". Dietrofront del governo: né Maduro né Guaidó

Il ministro degli Esteri Moavero abbandona la linea M5s (ma solo un po'): si torni alle urne

"In Venezuela si rivoti". Dietrofront del governo: né Maduro né Guaidó

Alla fine a passare è la linea suggerita più di una settimana fa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il voto delle Camere sull'informativa del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, riguardo la crisi venezuelana, è il segno che la «guida» del Quirinale riesce nei momenti di maggior difficoltà a illuminare la strada del governo. Alla fine Palazzo Chigi è riuscita, sulla questione venezuelana, a produrre una posizione unitaria. A Montecitorio il responsabile della Farnesina ha detto che il governo è a favore dell'arrivo di aiuti umanitari nel Paese sudamericano tormentato da una tragica crisi economica e dal pericoloso braccio di ferro che oppone il presidente Maduro al presidente dell'Assemblea nazionale Guaidò. «È importante favorire il dialogo - ha detto il ministro degli Esteri a Montecitorio - . Le nuove elezioni presidenziali, secondo noi, restano l'unica soluzione». Ed è su questa posizione che il Parlamento (prima la Camera e poi il Senato) ha votato, con la solita maggioranza composta dai parlamentari di Lega e Movimento 5 stelle. Una posizione cerchiobottista perché se da un lato boccia la linea pro-Maduro, a lungo tenuta dai grillini, non arriva a sposare direttamente e apertamente quella generalizzata in tutti i Paesi europei di un riconoscimento di Guaidò come presidente ad interim in attesa di una nuova consultazione popolare. Riassunta dallo stesso premier Giuseppe Conte che da Bruxelles ha precisato: «Non incoroniamo nessuno che non passi da elezioni libere e democratiche». Una posizione che non piace alle opposizioni in Parlamento. «Da italiani - spiega Mara Carfagna (Fi) - ci vergogniamo dell'atteggiamento che il governo sta tenendo sul Venezuela: dichiararsi neutrali significa sostenere il regime di Maduro senza avere il coraggio di ammetterlo». «L'esecutivo - aggiunge la Carfagna - auspica elezioni democratiche in Venezuela? Le vogliamo anche noi, ma come ha riconosciuto anche Moavero Milanesi, le ultime elezioni sono illegittime. In una democrazia serve la neutralità nell'organizzazione e nel controllo del voto: se il voto è organizzato e controllato dal regime di Maduro non potrà essere neutrale». Più scenografica la protesta del drappello di deputati di Fratelli d'Italia che si sono presentati in aula con sul bavero della giacca una spilletta con al scritta «No to human rights violations». Nel corso del dibattito alcuni di loro hanno anche esposto una bandiera venezuelana che su richiesta del presidente Roberto Fico, è stata fatta «ammainare» dai commessi. Le parole di Mattarella, alla fine, non hanno prodotto l'effetto sperato anche se hanno avuto il merito di evitare il pieno sostegno a Maduro. «Non ci può essere incertezza né esitazione - aveva detto il 4 febbraio il presidente della Repubblica -: la scelta tra la volontà popolare e richiesta di autentica democrazia, da un lato, e, dall'altro, la violenza della forza». Anche Silvio Berlusconi ha sottolineato il rischio di isolamento del nostro Paese. «Abbiamo fatto - dice - delle grandi brutte figure. Dobbiamo pregare che non si scateni una lotta armata e che ci si convinca ad andare ad elezioni vere e controllate». Sulla stessa linea il Pd. «Il governo non riesce a pronunciare il nome di Guaidò - spiega il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci -. Costretti a un equilibrismo senza logica, la posizione italiana sul Venezuela, unica in Europa e nel mondo occidentale, resta a metà del guado.

È la prima volta che l'Italia non sta a viso aperto dalla parte della democrazia».

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