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Separatisti a processo: il giorno del giudizio spacca ancora la Spagna

Al Tribunale supremo i 12 imputati accusati di "ribellione". Ora rischiano fino a 25 anni

Separatisti a processo: il giorno del giudizio spacca ancora la Spagna

Madrid Quando martedì alle 10,20 Manuel Marchena, presidente del collegio dei sette giudici dell'Audencia Nacional (il Tribunale Supremo di Spagna) avvia il dibattito giudiziario, nessuno in tutto il paese vorrebbe essere al posto di quei togati, chiamati a giudicare tra unionismo e indipendentismo. Un giudizio complesso e storico su una guerra politica e intestina che si trascina da due secoli. Alle 11, quando Marchena redige l'appello dei dodici presenti e presunti colpevoli dello strappo tra Madrid, la centralista, e Barcellona che si sogna capitale di una nuova repubblica indipendente, in varie città della Catalogna è già rivolta. La strada che collega la capitale catalana a Girona, la seconda città della Catalogna, è bloccata da un gruppo di indipendentisti che bruciano un centinaio di copertoni. All'arrivo della Guardia Civil, scoppia la guerriglia. A Barcellona si segue il dibattito in streaming sul Web. La maggior parte dei funzionari pubblici ha scioperato, scendendo in strada con un massiccio gruppo di studenti universitari di sinistra. Il traffico di Diagonal e Gran Via è in ginocchio, al grido di «Liberate i nostri prigionieri!».

I prigionieri, gli imputati, i dodici indipendentisti, che si sono fatti quasi sedici mesi di carcere preventivo, siedono mesti su un banchetto di quattro file da tre posti della sala mayor del Supremo. Tra tutti, per importanza di carica e di corpulenza, spicca Oriol Junqueras, l'ex vice-presidente della Catalogna di Carles Puigdemont. Lui non è fuggito all'estero, è rimasto a farsi la galera. Il suo legale parla di «Processo politico condotto secondo il codice penale dei suoi nemici». Sui dodici pendono accuse pesanti che potrebbero privarli per una decina o ventina d'anni della libertà. Sono imputati di «avere interrotto l'ordine costituzionale col fine di separare la Catalogna dallo Stato». Nella sala risuonano la parole «disobbedienza», «sedizione» e «malversazione»: si parla di una decina di milioni di euro di fondi pubblici per la scuola deviati per organizzare il referendum illegale sull'indipendenza della Catalogna. Poi, ci si sofferma sull'accusa di «ribellione». È la più grave. Qui il Codice di procedura penale spagnolo non ammette sconti, implica «tutti gli atti di violenza perpetrati per sovvertire le istituzioni». Se il collegio riconoscerà anche tale imputazione, per i dodici sarà la loro ghigliottina politica, ricordati per avere provocato e appoggiato gli scontri sanguinosi dell'autunno del 2017, quando Barcellona divenne terreno di guerra tra indipendentisti e le truppe di rinforzo della Guardia Civil inviate da Madrid. Le pene richieste vanno dai 7 ai 25 anni di carcere. L'imputato che rischia il massimo della pena è Junqueras, lasciato solo da Puigdemont, fuggito a Bruxelles per evitare il carcere. Ora lo rappresenta come il principale responsabile del tentativo di secessione.

L'aspetto più polemico del processo, che ha innescato le principali proteste dei secessionisti, è avere ammesso a rappresentare l'accusa Vox, il partito di estrema destra. La bestia nera dell'indipendentismo. Il suo presidente, Santiago Abascal, soltanto per Junqueras chiede 74 anni di carcere perché «è a capo di un'organizzazione criminale che ha ideato il colpo di stato». E siamo soltanto all'inizio. Si procederà con tre giorni si sessione a settimana. La sentenza è attesa prima delle elezioni europee.

Intanto da Berlino ha parlato Carles Puigdemont, il grande assente che non potrà essere giudicato in contumacia. «Questo processo è uno choc per la democrazia spagnola. La giustizia deve cancellarlo e assolvere tutti».

La Catalogna è gonfia di rancore, oggi si prevedono altre proteste.

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