Cultura e Spettacoli

Quel segreto nascosto nell'uniforme di Manara

Il dipinto di Vittori e i gessi di Michelangelo: «Scopro sempre qualcosa che mi riguarda»

Quel segreto nascosto nell'uniforme di Manara

Racconta Filippo Tuena che scrivere Le galanti (il Saggiatore) è stato «una autonanalisi freudiana» attraverso l'arte, nel senso che si è chiesto perché certe opere gli fossero sempre piaciute, e così ha iniziato a fare ricerche, cercare collegamenti e segreti: «E alla fine, ogni volta, ho scoperto qualcosa che mi riguardava e che, prima, non sapevo assolutamente». Così, da quelle «cento pagine circa» di un progetto annunciato in una mail a un amico, nel settembre 2017, in un annetto ne sono uscite quasi settecento.

Per capire come funziona il meccanismo di scavo, basta vedere come Tuena si avvicina a un dipinto di Filippo Vittori, I bersaglieri e i lancieri della morte trasportano Luciano Manara gravemente ferito a Villa Spada (1850), che occupa una parete intera in una stanza al Museo del Risorgimento di Milano. Lo sfondo temporale è l'assedio francese ai garibaldini che avevano occupato Roma, ai tempi della Repubblica, nel 1849; quello spaziale Villa Doria Pamphilj. «Questo quadro mi aveva sempre colpito perché è finto, celebrativo. E poi sono affascinato dai garibaldini fin da ragazzo, quando mia madre mi portava a vedere i dipinti alla Galleria d'arte moderna a Roma. Ero attratto dalle battaglie. C'era anche un quadro di Eleuterio Pagliano che rappresenta proprio Luciano Manara sul letto di morte». Luciano Manara, bersagliere, comandava i garibaldini assediati a Villa Spada (che nel dipinto di Vittori non si vede). Insomma che fare di fronte a questo dipinto che attrae, ma sembra «finto»? Tuena si rivolge ad Alexandre Dumas, il quale, in un libro su Garibaldi, racconta nel dettaglio la morte di Manara, tradito da un colpo al ventre, proprio nel punto in cui si era appena sfilato «la cinta». E poi volge lo sguardo a un altro cimelio: una uniforme da bersagliere, appartenuta a Manara, conservata in una teca proprio accanto al dipinto di Vittori. «Ho notato che il copricapo e il colore delle piumette erano identici a quelli del quadro. Così ho guardato bene. E vede qua, vicino al bottone? C'è il buco della carabina. Questa è proprio l'uniforme che Manara indossava quando è morto: e allora, se un particolare è reale, anche tutto il resto diventa reale».

Basta uscire dal Museo (zigazagando fra le teche di soldatini, «una mia passione fin da piccolo, grazie a mio padre antiquario» e la stanza di Silvio Pellico, «che stava in cella, sa con chi?, con uno dei finti delfini, che pretendevano di essere Luigi XVII, che storia incredibile») e camminare fino al piano terra della Pinacoteca di Brera, per farsi intrappolare da un'altra delle magie narrative di Tuena: ora siamo di fronte ai gessi dei due gruppi di sculture di Michelangelo che si trovano in Sagrestia Nuova, a Firenze. Nel secondo gruppo, fra il Giorno e la Notte non c'è simmetria di gesti. «Il braccio della Notte è in una posizione impossibile». Come mai? «Racconta il Doni, nei Marmi, che Michelangelo la guastò: e poi tentò di rimediare...». Poi, «in due o tre lettere successive all'incidente, Michelangelo cercò di sminuire l'accaduto, per non far sapere al Papa che la statua si era rotta». Solo che certi «cichaloni» gli avevano già riferito tutto..

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