Cronache

Quell'affresco di Narciso, papà dei selfie

Scoperta a Pompei

Quell'affresco di Narciso, papà dei selfie

Pompei è una meravigliosa macchina del tempo. Ogni tanto, da questa città pietrificata, riaffiora qualcosa, perché gli scavi non finiscono mai. La lava del Vesuvio nasconde porte magiche che parlano con l'eternità e da qui arrivano messaggi, magari casuali, coincidenze, che incarnano lo spirito della stagione che stai vivendo. Ti parlano di adesso. È la forza del mito.

Eccola, sembra una casa di piacere, un'alcova e, proprio nell'atrio, appena si entra, c'è un muro arancio, c'è un affresco. È la storia di Narciso. Non c'è nulla di più attuale. Narciso in posa, disteso sull'erba, con un cane che lo guarda, mente lui si specchia nell'acqua, con l'aria compiaciuta di chi si riflette in un selfie. Pompei ti regala la fotografia di quello che siamo, come un autoritratto, uno sberleffo, un messaggio via Instagram nel giorno di San Valentino, una saluto che arriva dal passato più profondo. Non avrai altro Dio all'infuori di te.

Narciso è l'eterno adolescente. Il suo sguardo non ha futuro, non ha orizzonte, il capo chino e le spalle curve di chi passa troppe ore a guardarsi l'ombelico. È bello e sdegnoso. Attira l'attenzione e riceve milioni di like, ma è una popolarità che non placa la sua voglia di piacere e di piacersi. Narciso non si innamora di nulla e per lui niente è abbastanza vero, reale, concreto. Si nutre di illusioni e dice no a tutti.

Ovidio, il poeta dell'esilio e del no al potere, racconta come nessun altro forse potrà mai fare la storia del suo amore egocentrico nelle Metamorfosi. Lo fa dall'una e dall'altra parte dello specchio. Prima c'è quelle che Narciso non vede, una ninfa innamorata follemente di lui. Si chiama Eco e forse qualcuno ne ha sentito parlare. Eco per anni è stata complice di Giove, lo aiutava a nascondere i tradimenti agli occhi di sua moglie Giunone, fino a quando la regina dell'Olimpo non si è spazientita e ha ridotto la ragazza all'invisibile. La maledizione peggiore in un tempo dove l'immagine è tutto. Eco non ha corpo. È solo voce, una voce che non parla ma echeggia, appunto, solo la fine di una frase. Eco, innamorata, insegue Narciso e sogna di sedurlo con dolci parole. Non può, non ci riesce. Narciso sente e non vede, e chiede: «C'è qualcuno?». Eco può solo sospirare: «Qualcuno». Narciso dice: «Riuniamoci» e lei risponde «Uniamoci». È un dialogo senza incontro, perché Narciso non può sentire ciò che non vede. Eco scompare, non esiste, si ammala d'amore non corrisposto, s'immalinconisce, fino a morire.

Narciso trova invece la sua Nemesi. Ha sete e beve in un ruscello e qui contempla i capelli, gli occhi, le guance e il corpo di un ragazzo bellissimo. Brucia d'amore. Si tuffa e cerca di abbracciare, amare, quell'immagine. Nulla da fare. È una passione sfuggente. Fino a quando capisce: «Ma sono io, questo tu? Io brucio d'amore per me, questo fuoco io l'accendo e lo soffro».

Maledetto Narciso, eroe del nostro tempo, che ci parla da un'alcova di Pompei, la città dove l'attimo della morte non ha fine.

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