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McEnroe, l'attaccabrighe che ha cambiato il tennis

I 60 anni di John: "Entrai in un circolo di colletti bianchi e feci la rivoluzione"

L'americano John Mcenroe, il più atteso tra i "Fantastici 4"
L'americano John Mcenroe, il più atteso tra i "Fantastici 4"

Per riuscire a rompere le regole sono bastati 500 dollari e l'idea che tutto il mondo andasse contromano. Cinquecento dollari in tasca per partire dall'America e fare il percorso all'incontrario verso una fortuna che a soli 18 anni di solito sembra così lontana. Invece bisogna saper credere, e lui ci credeva. E soprattutto le regole bisogna saperle rompere: viaggiare solitari dalla parte sbagliata, comporta dei rischi. Era il 1977 e John Patrick McEnroe partì solo con la sua Dunlop Maxply, diventata poi non solo una racchetta di legno, ma una di quelle che hanno cambiato il tennis. E invero lo ha cambiato quel mondo, chi la teneva in mano, in quell'anno in cui tutti erano ubriachi del fascino algido di Bjorn Borg e chi se lo filava quel ragazzino americano anche un po' fastidioso...

Nato a Wiesbaden, Germania Ovest, dove John P. Senior prestava servizio in una base militare, John P. Jr è stato l'esatta sintesi dei suoi genitori, prendendo da papà lo spirito compagnone irlandese e da mamma Kay il rigore della figlia di uno sceriffo di Long Island. Insomma: se c'era da fare cagnara per carità, ma la madre gli insegnò che il mondo o è bianco o è nero. E la tonalità la può decidere solo un McEnroe. John ha fatto suo tutto questo ed è così che nasce il mito di SuperBrat, il supermoccioso. Ma soprattutto nasce la leggenda di colui che ha cambiato il tennis perché quel tennis non gli piaceva. Oggi a incontrarlo nei circoli più glam, impegnato a fare telecronache un po' al vetriolo, fa quasi un po' specie quella strana eleganza ciondolante che si porta dietro. Però non è che si sia imborghesito, perché in effetti le movenze sono sempre quelle, lo stile è quello. Il suo. Racconta: «Sono arrivato in un circolo di colletti inamidati, quando me ne sono andato avevo fatto la rivoluzione». Ed in effetti fu così, cominciando infatti da quella racchetta: diritto, rovescio, volée, servizio, smash, tutto con la stessa impugnatura. Nessuno c'era mai riuscito, tranne Rod Laver s'intende. E dunque perché non lui.

Si diceva di quel 1977: lo allenava a Port Washington Harry Hopman, il coach che aveva creato appunto il due volte vincitore del Grande Slam, nonché gente come Roy Emerson e Ken Rosewall. Non poteva che finire così, quando il ragazzo con i capelli ricci tenuti su da una banda rossa entra scontroso nel tennis che conta: vince il Roland Garros junior in singolare e doppio misto, arriva a Wimbledon vestito di bianco e si spinge dalle qualificazioni fino alla semifinale tra gli oooh di un pubblico che non aveva mai visto prima qualcosa del genere. Lo show era appena cominciato. Il nemico odiato (per sempre) quel giorno era Connors. Poi diventerà Ivan Lendl. John McEnroe alla fine Wimbledon lo ha vinto 3 volte, aggiungendo altri cinque titoli dello Slam (3 a New York, 1 in Australia e 1 a Parigi) sempre messo un po' di sbieco sulla linea di fondo. E ha fatto tutto a modo suo, giocando, sbuffando, litigando, urlando, timbrando la Storia con il suo man, you cannot be serious, arrivato rissoso dopo una chiamata avversa in un'epoca irripetibile di campioni. E lo ha fatto divertendosi e divertendoci: è stato la chiave d'ingresso nei mitici Anni '80, ma non è solo per questo che ancora oggi lo rimpiangiamo. SuperMac era l'eroe di una generazione che voleva andare oltre a una vita grigia, l'uomo che litigava con gli arbitri perché pensava fossero «la feccia del mondo» (l'ha detto davvero, durante una partita) e di non averne affatto bisogno: gli bastava sentire il tocco sulla racchetta ha sempre ripetuto per sapere se la palla fosse dentro o fuori. Magari poi era fuori, ma pazienza. Non era semplicemente possibile. Così come non è possibile oggi che Roger Federer abbia vinto 3 Slam dopo che il McEnroe cronista ne avesse decretato la morte sportiva. Semplicemente non può essere successo.

Eppure. John era il tennista che sapeva odiare gli avversari, la fila è lunga. Quando parla della finale persa al Roland Garros nel 1984 facendosi rimontare due set da Lendl, ancora adesso descrive il mal di stomaco che gli viene ogni volta che torna a Parigi, «e ancora non capisco: dev'essere stata una distorsione spazio-temporale, tipo Star Trek». Però poi, in realtà, è finito per farsi amare, perfino dal suo più acerrimo rivale. Borg-McEnroe non sono state solo due finali pazzesche di Wimbledon che hanno lasciato ai posteri un tie-break immortale (anno 1980) e la resa definitiva dello svedese (anno 1981). Borg-McEnroe è diventata un'amicizia, un film, la dimostrazione che la vita non è mai come ti spiegano le regole. E così oggi, nel mondo dei warning e degli «Occhi di Falco», John McEnroe sarebbe fuori dopo un paio di game, però vedendo quello che c'è in giro vorresti a un certo punto trovare qualcuno pronto a spaccare una sedia a racchettate per dire poi che aveva ragione lui. Qualcuno pronto a fare la rivoluzione per restare eterno.

Invece John McEnroe, oggi, compie già 60 anni.

E, man: you cannot be serious.

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