Cultura e Spettacoli

"Ecco la mia Napoli made in Usa"

L'autrice americana ha esordito con un romanzo in italiano

"Ecco la mia Napoli made in Usa"

Perduti nei Quartieri spagnoli è il romanzo d'esordio di Heddi Goodrich. Oltre a essere entrato subito in classifica, il libro (Giunti, pagg. 462, euro 19) ha una particolarità: è stato scritto in italiano, ma la sua autrice è americana. Come la protagonista «Eddi», anche Heddi è venuta in Italia durante il liceo e poi ha frequentato l'università a Napoli, all'Orientale. E poi - spiega Heddi dalla Nuova Zelanda, dove vive con il marito e i due figli - ha lavorato lì fino a 28 anni. Insomma una americana innamorata di Napoli, come la sua «Eddi», la quale a Napoli, e nei suoi Quartieri, si innamora davvero...

Come è arrivata in Italia?

«Sono arrivata a sedici anni tramite uno scambio culturale. Non vedevo l'ora di scappare dall'America. L'associazione mi ha mandato a Castellammare di Stabia. Era il 1987 e la mia nuova casa era piena di crepe del terremoto dell'80, Maradona ancora giocava per il Napoli».

Come mai ha deciso di scrivere il romanzo prima in italiano?

«In verità avevo scritto una prima bozza in inglese anni fa, ma faceva schifo. Mi sono dedicata alla famiglia, ho insegnato. Però quella storia napoletana non mi lasciava in pace, e ogni tanto la tiravo fuori e tagliavo, riscrivevo...».

E poi?

«Una mia amica neozelandese ha avuto un presagio che mi ha cambiato la vita: ha visto le pagine del mio libro, stampate e rilegate; ha visto le parole stesse ed erano in italiano».

Così è passata all'italiano?

«Pensavo si sarebbe trattato di una goffa traduzione del testo inglese. Ma non è andata così: mi sono resa conto che stavo riscrivendo il romanzo. E che, per la prima volta, scrivevo con un trasporto totale».

L'ha tradotto lei in inglese?

«Sì, anche se all'inizio ero titubante. Avevo paura di perdere la mia voce italiana. Sto ancora limando la traduzione con i miei editor newyorkesi della HarperCollins per farla uscire a settembre».

Napoli è molto presente nei romanzi degli ultimi anni. Si è ispirata anche a questi?

«Ho scritto il romanzo su un'isola in mezzo al Pacifico, in una situazione di quasi totale estraneità al mondo letterario italiano. Non ho voluto leggere romanzi ambientati a Napoli, non volevo farmi condizionare».

Niente Saviano o Ferrante?

«Appena ho completato il manoscritto ho ordinato La paranza dei bambini di Saviano. Ho fatto una eccezione, solo durante l'ultimo periodo di scrittura, per la quadrilogia della Ferrante: però in quei bellissimi romanzi la città non era molto presente o, dove compariva, non assomigliava alla mia Napoli».

Di Napoli racconta gli odori, è una città quasi sensoriale.

«Ho scritto il romanzo innanzitutto perché ero lontana da Napoli: le parole mi servivano per ricreare l'esperienza tridimensionale e multisensoriale di un luogo di cui sentivo la mancanza. Napoli ti inonda di grida, risate, puzze, profumi, calore».

Perché ringrazia Franchini?

«Alla Giunti sono diventati come una seconda famiglia per me. Antonio Franchini è stato il primo lettore in assoluto del mio romanzo».

Perché i Quartieri sono così emblematici di Napoli?

«Uno degli aspetti che rende unica Napoli è il fatto di avere il centro storico più grande del mondo. E non è un centro storico sterilizzato dal turismo, bensì il cuore pulsante di una città che è viva e ribelle in ogni sua cellula, sin dall'antichità. Poi, se guardi il quartiere dall'alto, su una cartina, vedi un reticolo di strade ben ordinato e pensi che sarà facile orientarti. Ma, come Napoli stessa, il quartiere non si presta a facili interpretazioni. Ti distrae. E tu ti confondi, ti perdi come in un labirinto.

È un'esperienza necessaria, piena di sorprese, belle e brutte».

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