Cultura e Spettacoli

Alla Biennale musica il sound è trasversale Franceschini: il mio quartetto suona rock

Presentata la 63ª edizione della rassegna. Baratta: «Si esplorerà l'Europa»

Luca Pavanel

Dopo il Leone d'oro a Keith Jarrett e al suo pianismo jazz, vivaddio, la nuova strada è tracciata e parole come «contaminazioni», «contemporaneità estesa» e «trasversalità» non sono più tabù. Bentornati alla Biennale Musica di Venezia dell'Era Paolo Baratta-Ivan Fedele, quest'ultimo artefice di nuove «aperture», quelle anche ai più diversi generi, e non solo dunque l'ortodossia sonora dei duri e puri dell'avanguardia & nipotini. Questa volta «il nostro settore musica - commenta il presidente della Biennale Paolo Baratta - torna a verificare gli sviluppi recenti in Europa, anche con molti giovani compositori». Già, proprio così.

I riconoscimenti 2019 sono andati al londinese George Benjamin (Leone d'oro), ritenuto uno dei massimi del nostro tempo - più vicino alla strada maestra - e all'italiano di Trento Matteo Franceschini (Leone d'argento).

Ieri, a Roma, si è parlato anche di questo alla presentazione della 63esima edizione del Festival Internazionale nella città Serenissima (dal 27 settembre al 6 ottobre): «Back to Europe», uno spaccato aggiornato di quel che succede nel mondo della musica d'arte d'oggi, più dalle parti nostre. Tra le proposte più originali, quella di Franceschini appunto, il suo «Songbook» che vedrà il battesimo nella serata della premiazione (3 ottobre). Parla il maestro.

«Il mio Songbook? - fa eco al telefono il compositore da Parigi - Da qualche anno sto facendo un percorso di ricerca che vuole accentuare l'idea di poter abbracciare diverse grammatiche musicali, tra cui il rock». L'opera che verrà eseguita in prima mondiale - una sorta di viaggio nella forma canzone - è una serie di brani eseguiti da una doppia formazione sul palco: un quartetto rock e un ensemble classico, con lo stesso Franceschini sul palco in veste di bassista e coordinatore della parte «live elettronics». Ecco, dunque spuntare la figura del compositore-interprete: «Trovo interessante il lavoro di équipe dai cui imparo sempre, non solo nelle produzioni liriche ma anche in quelle strumentali», dice il musicista in gioventù fan di gruppi come i Beatles («dove per quanto mi riguarda è partito tutto»), i Tool e l'elettronico Lateralus. «Gli altri miei autori di formazione? - conclude - oltre ai miei maestri Solbiati e Corghi, penso a Berio, Romitelli e Castiglioni».

Di diverso segno - vista anche la generazione - l'uomo che venne paragonato nel 1976, da Olivier Messiaen suo mentore, a «Mozart»: George Benjamin allora aveva 16 anni. Il primo giorno del festival andrà in scena «Written on Skin» su libretto di Martin Crimp, la sua prima opera su larga scala, esempio di «raccordo col passato». Lavoro alto di un personaggio che nel 2001 ha ricevuto il «Premio Arnold Schönberg» - questo dice molto - che inaugura il festival che conta 16 appuntamenti, 31 prime esecuzioni (19 assolute con 12 commissioni della Biennale) e 12 italiane. «Con l'apertura ad altri generi - dice il direttore artistico Ivan Fedele - hanno cominciato a confluire spettatori di diverse provenienze e interessi».

La seconda rivoluzione insomma continua, si compone e si suona non solo per pochi eletti.

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