Economia

Trump vede vicina l'intesa sui dazi

Il tycoon proroga la tregua con la Cina: sui punti più spinosi "fatti forti progressi"

Trump vede vicina l'intesa sui dazi

Questione di feeling, ma anche di timing. Quindici minuti prima dell'apertura di ieri dei future a Wall Street, Donald Trump cinguetta la decisione di estendere la tregua sui dazi con la Cina. Poi, sono solo parole al miele per Pechino, con cui Washington ha compiuto «progressi sostanziali» su nodi intricati come la protezione della proprietà intellettuale, il trasferimento tecnologico, la valuta e molte altre questioni. «Supponendo che entrambe le parti facciano ulteriori progressi, organizzeremo un vertice, io e il presidente cinese Xi, a Mar-a-Lago, per concludere l'accordo», chiosa il tycoon. In fotocopia, dal versante dell'agenzia ufficiale cinese Xhinhua arriva la conferma. I mercati asiatici hanno già chiuso sotto il segno del rally (+5,6% Shanghai e Shenzhen), sull'ottimismo per lo sviluppo dei negoziati durante lo scorso week-end. Seppur meno vistosi, i rialzi si sono poi estesi all'Europa (+0,86% Milano) e a New York (+0,5% a un'ora dalla chiusura).

Tanta fiducia è ben riposta? Questi mesi di trattative, scanditi da momenti di grande gelo fra le parti in lotta, dovrebbero aver insegnato che solo le firme su un trattato di pace metteranno la parola fine alla trade war. Al momento, l'unica nota positiva è che il prossimo primo marzo non scatteranno tariffe punitive su merci del Dragone per un controvalore di 200 miliardi di dollari. Alle quali, nella logica del tit for tat (in parole povere, il cosiddetto pan per focaccia), Pechino avrebbe risposto con nuove misure di ritorsione. Ma alle Borse piace questo soffiare sul fuoco dell'accordo ormai imminente. Come la vitamina C, fa bene alla salute (azionaria), mentre nuocerebbe gravemente posare lo sguardo sui contrasti sempre più aspri fra The Donald e lo staff dei suoi consiglieri, a cominciare da Robert Lighthizer. Solo qualche giorno fa, lo zar del commercio metteva in guardia contro gli ostacoli ancora «molto grandi» con l'ex Impero Celeste sui maggiori punti di contrasto e consigliava di non prorogare la tregua decisa con Xi Jinping a margine del G20 di Buenos Aires. Parole a vuoto. Trump ha sposato - per ora, poi si vedrà - la linea del deal a portata di mano. Con ciò rafforzando la tesi secondo cui l'inquilino della Casa Bianca sta rimodulando la comunicazione per far correre Wall Street. Peraltro, il feeling con la Borsa è innegabile, come dimostra un altro tweet di ieri: «Da quando sono stato eletto presidente il Dow Jones è salito del 43% e il Nasdaq di quasi il 50 per cento. Grande notizia per i vostri piani pensionistici . Stiamo rilanciando l'America a una velocità che nessuno pensava possibile!».

I calcoli sono più o meno corretti anche se arrotondati al rialzo di quasi il 5% in entrambi i casi, ma il punto non è questo. Il punto, semmai, è quello di un'economia poco brillante. La Federal Reserve di Atlanta stima che la crescita del Pil del quarto trimestre 2018 non è andata oltre l'1,4%. Il 2019 potrebbe andare anche peggio. Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha infatti sospeso la danza dei tassi al rialzo, ma a Trump non basta. Adesso c'è da addomesticare l'Opec: «I prezzi del petrolio stanno salendo troppo - ha detto nell'ennesimo tweet che ha fatto crollare del 3,5% le quotazioni - . Opec, per piacere, rilassati e stai serena. Il mondo non può sopportare un aumento dei prezzi, è fragile!». Una fragilità che lo stesso Trump, con la guerra dei dazi, ha contribuito a creare.

Resta, però, un mistero come in un mondo così debole Wall Street sia cresciuta di oltre il 12% da inizio anno. Questione di timing?

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