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Kim-Trump, flop atomico: "Presto per firmare intese"

Denuclearizzazione, niente intesa tra i leader. Il tycoon: "Altri incontri? Forse tra molto tempo"

Kim-Trump, flop atomico: "Presto per firmare intese"

Doveva essere una giornata storica. Invece non è successo nulla. O meglio è successo quel che nessuno s'aspettava. Donald Trump ha girato i tacchi e se n'è tornato a casa. «A volte - ha spiegato - bisogna sapersene andare e questa è una di quelle». Certo non era facile deciderlo. Per un presidente subissato, solo 12 ore prima, dai lanci di agenzia che gli vomitavano addosso le dichiarazioni rese al Congresso dal suo ex avvocato Michael Cohen sarebbe stato assai più semplice restare, firmare un simulacro d'intesa e spostare tutta l'attenzione sulla conclusione del summit di Hanoi. La maggioranza dei giornalisti americani arrivati a seguire il vertice era andata a dormire scommettendo che Trump avrebbe fatto proprio così. Invece, come sempre quando si tratta del Donald, sbagliavano di grosso. «Oggi spiega in conferenza stampa il presidente dopo aver frettolosamente chiuso l'incontro e cancellato il previsto pranzo con Kim Jong-un - avrei potuto firmare un accordo e tutti voi avreste strillato che terribile accordo, ma io preferisco un accordo giusto piuttosto che veloce».

Certo l'inattesa cautela di Trump è anche figlia del rischio di firmare un'intesa obbrobriosa destinata a venir ricordata come il più clamoroso regalo dell'America al regime di Pyongyang. Un rischio imponente anche perché le grandi aspettative della vigilia si basavano su un malinteso chiamato «denuclearizzazione». Per la Casa Bianca rappresentava la disponibilità di Pyongyang a smantellare tutti gli arsenali atomiche e tutte le infrastrutture nucleari sotto il controllo di osservatori internazionali. Per Kim Jong-un era la scorciatoia verso una totale cancellazione delle sanzioni. Una cancellazione da ottenere offrendo in cambio solo la rinuncia al centro per l'arricchimento del plutonio di Yongbyon. Per ottemperare alla ben più vasta e complessiva richiesta statunitense il dittatore di Pyonyang pretendeva invece una de-nuclearizzazione estesa a tutta la penisola coreana ed allargata dunque anche a quelle infrastrutture del Sud dove Seul produce e ammassa, da qualche decennio, tutti i componenti necessari alla produzione di testate atomiche.

«Pretendevano l'eliminazione completa delle sanzioni ha spiegato Trump - ma sulla denuclearizzazione non erano pronti a darci quello che volevamo». Sulla decisione di voltare i tacchi e abbandonare la trattativa hanno influito anche le pressioni dei collaboratori del presidente. Seppur in misura diversa sia il negativissimo Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton, sia il più disponibile Segretario agli Esteri Mike Pompeo, presente ad Hanoi al fianco del presidente, erano assai scettici sulla possibilità di riuscita del vertice. Per evitare l'incognita di un colpo di testa presidenziale si erano sforzati di fargli assimilare i vari dossier Cia in cui si ricorda come Yongbyong sia solo una delle infrastrutture nucleari nord coreane. E forse neppure la più importante. Alla fine la lezione sembra aver dato i suoi frutti. «Ci sono dei siti che noi conosciamo e che il mondo non conosce», ha ripetuto ai giornalisti Trump, facendo capire che per arrivare a qualsiasi intesa Kim e i suoi «dovranno fare molto di più». Comunque nessuna rottura. «Kim Jong-un mi ha assicurato sottolinea il presidente - che non farà nuovi test missilistici e niente che riguardi il nucleare». Non soddisfatto si sforza di rimarcare come il feeling tra lui e il dittatore resti intatto. «Con Kim ci siamo lasciati in modo amichevole, non c'è stata né un girata di spalle, né una corsa verso l'uscita, l'atmosfera era cordiale. Ci siamo lasciati da buoni amici», ripete più volte. Ma prima d'imbarcarsi sull'Air Force e tornare alle bufere politiche e investigative di Washington non può fare a meno di ammetterlo.

Da qui ad un nuovo incontro «potrebbe passare molto tempo».

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