Politica

Il partito dei magistrati attacca i gialloverdi «In crisi la democrazia»

L'affondo del numero due del Csm Ermini al congresso di Md. Anm e penalisti si accodano

V a bene che il pulpito era quello del congresso di Magistratura democratica, la corrente più di sinistra delle toghe, quella delle cosiddette toghe rosse, ma un affondo così dal vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura non si era mai sentito: la fusione tra populismo e sovranismo mette in crisi lo stato di diritto e apre a politiche della chiusura e del rancore, sostenute dall'ideologia della volontà popolare. Parole pesanti quelle di David Ermini (Pd).

Un golpe politico dei magistrati? Sicuramente un discorso clamoroso quello pronunciato dal numero due del Csm, che avrà fatto fare un bel salto sulla sedia al capo dello Stato, Sergio Mattarella, che presiede l'organo di autogoverno dei giudici. Ermini sceglie queste parole per quello che suona come un attacco frontale al governo gialloverde: «Dopo la lunga crisi che ha sconvolto le economie occidentali e gli equilibri geopolitici, si è aperta un'era in qualche modo nuova, fondata sulla saldatura tra populismo e sovranismo, una fusione che, nel momento in cui si fa potere di governo, opera un salto di scala quantitativo e qualitativo nella messa in crisi dei capisaldi della democrazia costituzionale e dello stato di diritto, alimentando politiche del rancore e della chiusura e agitando l'ideologia moralistica della volontà popolare». Il nome di Salvini non compare, ma è chiaro che si parla di lui se l'argomento è il rischio di delegittimazione dei giudici a favore del giudizio popolare. Il numero due del Csm mette in guardia contro il pericolo, «che si annida nelle pulsioni populiste», di alimentare la sfiducia nei confronti dei magistrati, intaccandone la credibilità. Ermini spiega che una delle caratteristiche del populismo è «scardinare le regole» e questo «mette in crisi separazione dei poteri, indipendenza della magistratura e delle autorità di controllo, sistema di pesi e contrappesi, con il rischio di trascinare il processo democratico verso l'abisso della dittatura della maggioranza». Non serve citare l'attualità, inerpicarsi in sentieri scivolosi come quelli dei dubbi sulla legittima difesa e sul decreto sicurezza. Le parole del vicepresidente del Csm sono fin troppo eloquenti lì dove accennano al «passaggio traumatico da un passato di espansione dei diritti fondamentali e individuali, all'incognita di un presente giuridicamente regressivo, declinante verso il giustizialismo e povero di tutele».

Per difendere l'autonomia della giurisdizione e l'indipendenza da qualsiasi forma di pressione, Ermini si appella a tutti gli operatori del diritto: magistrati, avvocati, accademici. L'Anm raccoglie l'assist: «L'idea di un pubblico ministero sottoposto all'esecutivo è un rischio che non possiamo e non vogliamo correre», dice il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Francesco Minisci, riferendosi all'ipotesi di una legge sulla separazione delle carriere e respingendo poi l'idea che l'azione della magistratura possa essere in qualche modo rivolta a danneggiare o a favorire una parte politica.

Anche gli avvocati si scagliano contro il populismo. Ma Gian Domenico Caiazza, presidente dell'Unione delle Camere Penali, denuncia un fatto nuovo: «Il valore del populismo penale viene rivendicato come obiettivo politico».

Il timore è di «assecondare le paure e scaricarle sulla legislazione e sul processo».

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