Politica

Tav, vertice ad alta tensione L'Ue: perderete 800 milioni

Il M5s cerca l'exit strategy. Pronta la lettera di Bruxelles Consob, scoppia il caso Savona: i grillini lo boicottano

L'ennesimo capitolo della Grande Farsa sulla Tav si apre in un clima cupo. Il vertice «decisivo» inizia a sera a Palazzo Chigi e andrà avanti «a oltranza» nella notte: entro venerdì bisogna dire sì o no ai bandi di gara, perché lunedì si riunisce il cda della concessionaria Telt e ci sono in ballo molti soldi: «Rischiate di perdere 800 milioni di euro», è il secco avvertimento che arriva dalla Ue.

Ma nonostante le rassicuranti e un po' surreali vacuità dispensate per tutto il giorno dal premier Conte («Prenderemo tempo, ma in fretta», «decideremo responsabilmente per il meglio», e comunque «il governo non rischia»), la tensione nella maggioranza è ai massimi. Per Salvini e Di Maio è questione di vita o di morte: il leghista, terrorizzato dalle elezioni in Piemonte e dalla rivolta del Nord, deve portare a casa un sì alla Tav. Il grillino, cui della Tav non importa nulla, sa che senza un no il suo partito rischia di esplodere e di fare di lui e delle sue poltrone ministeriali il capro espiatorio: «Non tiene più i suoi», confidano allarmatissimi dal Carroccio. «Ma se non si fa la Tav non reggiamo noi», chiosa il braccio destro salviniano Giorgetti. Nessuno vuole la crisi, ma la situazione è sfuggita di mano.

Così Di Maio arriva al tavolo, scortato da ministri, sottosegretari, sottopanza e tecnici no-Tav, con una proposta del tutto insensata: dire si ai bandi ma «dirottare i fondi Tav sull'ampliamento della linea del Frejus». Insorge il governatore del Piemonte Chiamparino: «Una carnevalata senza senso». Salvini, nero in volto, entra nel conclave dell'ultim'ora anche lui accompagnato dai suoi tecnici, che dicono il contrario di quelli grillini. «Stasera si decide, o sì o no. Il forse non esiste», tuona.

Intanto su Roma piomba l'avvertimento della Ue: l'eventuale no alla Tav comporterà la violazione dei regolamenti e la perdita di circa 800 milioni, di cui 300 milioni entro marzo. Conte e i suoi vice speravano di cavarsela con un inguacchio: via libera ai bandi, «che tanto sono revocabili», spiegano i grillini, ma nessuna decisione chiara sull'opera fino alle elezioni europee. Salvini potrà racconterà ai suoi che la Tav si farà, Di Maio che la Tav si fermerà; il primo cavalcherà il referendum lanciato da Chiamparino (regalando così la leadership sul tema al Pd); il secondo meditava di far presentare in Parlamento una proposta No Tav, onde farsela bocciare dai cattivissimi pro Tav e poter raccontare ai gonzi che lui ce l'ha messa tutta. Ma i grillini, che ieri hanno dovuto ingoiare la legittima difesa, sono in crisi di nervi, e tutto si è complicato. L'unica buona notizia della giornata (almeno per la sua famiglia) la dà l'ineffabile ministro Toninelli: «Non ho mai minacciato le dimissioni», assicura, smentendo i retroscena: ce lo terremo fino alla fine, Tav o non Tav.

Il clima tra gli alleati di governo è da Chicago anni Trenta. Ieri i leghisti confidavano il forte timore che i grillini oggi facciano «scherzi da prete» in commissione Finanze, che deve dare via libera alla nomina di Savona alla Consob. La fronda grillina capitanata dalla presidente della Commissione Carla Ruocco, appassionata fan del trombato Minenna, potrebbe per vendetta impallinare l'anziano autore del pregevole saggio «Politeia» (andato a ruba, come è noto, presso il ministero del medesimo Savona). Poi c'è la spada di Damocle tenuta sulla testa di Salvini: il 20 marzo in Senato si vota sul processo per il caso Diciotti, e Salvini deve assicurarsi il salvacondotto da M5s. Così ha fatto fissare per il giorno successivo la mozione di sfiducia a Toninelli: se il leghista finisse davanti ai magistrati, il grillino finirà a Brescia a vendere polizze assicurative.

Tra ricatti e trappole contrapposti, i gialloverdi cercano nella notte la exit strategy sulla Tav.

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