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Per la prima volta un soldato britannico è incriminato per la strage del Bloody Sunday

Dopo 47 anni, l'ufficio del pubblico ministero dell'Irlanda del Nord ha incriminato un ex militare britannico per l'uccisione di due delle 14 persone morte durante i tragici fatti del Bloody Sunday

Per la prima volta un soldato britannico è incriminato per la strage del Bloody Sunday

Dopo quasi cinquant'anni dai tragici fatti del Bloody Sunday, un ex militare dell'esercito britannico è stato ufficialmente incriminato per l'uccisione di due manifestanti in quello che viene considerato uno degli episodi cardine del conflitto nordirlandese. Nella giornata di oggi l'ufficio del pubblico ministero dell'Irlanda del Nord ha infatti confermato la presenza di prove sufficienti per procedere all'incriminazione dell'uomo identificato come "Soldato F", accusato dell'omicidio di James Wray e William McKinney, oltreché del tentato omicidio di Joseph Friel, Michael Quinn, Joe Mahon e Patrick O’Donnell. Per quanto riguarda invece altri 18 sospettati, di cui 16 appartenenti all'esercito britannico e 2 all'organizzazione paramilitare dell'Ira, il procuratore ha spiegato come le prove attualmente disponibili siano insufficenti per poter intraprendere alcun tipo di processo nei loro confronti.

Una decisione quest'ultima che ha gettato nello sconforto i familiari delle vittime ed i rispettivi avvocati, dichiaratisi pronti a contestare ogni decisione della corte che dovesse implicitamente negare le responsabilità dei vertici militari nei fatti del Bloody Sunday. Nel commentare il lavoro dei giudici, il fratello di una delle vittime, Mickey McKinney, ha infatti dichiarato: "Vorremmo ricordare a tutti che nessun procedimento giudiziario o, se mai dovesse giungere, nessuna condanna, significherà per quelle persone la non colpevolezza, o che non sia stato commesso alcun crimine, o che quei soldati abbiano agito in modo dignitoso e appropriato".

Nella memoria collettiva degli irlandesi la strage del Bloody Sunday ha rappresentato, e rappresenta tuttoggi, l'episodio più sanguinoso nella cronologia dei cosiddetti "Troubles", il clima di guerriglia che per quasi quarant'anni ha visto contrapporsi unionisti - cioè coloro che considerano l'Irlanda del Nord come parte del Regno Unito, per la maggior parte protestanti - e repubblicani - sostenitori invece dell'unificazione irlandese, tradizionalmente cattolici - in merito al destino politico dell'Ulster. Il 30 gennaio del 1972, dopo che già da due anni l'Ira aveva ripreso i combattimenti contro le forze armate di Londra, soldati appartenenti al Primo Battaglione Reggimento Paracadutisti dell'esercito britannico aprirono il fuoco contro una manifestazione pacifica non autorizzata che si stava tenendo in quel momento nella città di Derry (Londonderry per i filobritannici), uccidendo 14 persone - tra i quali molti giovani e 6 minorenni - e ferendone altre 14.

Il corteo, organizzato dalla Northern Ireland Civil Rights Association, si era riunito per protestare contro una discussa legge emanata dal governo locale, che stabiliva l'uso del carcere preventivo a tempo indeterminato per chiunque fosse sospettato di minacciare la sicurezza nazionale, senza la possibilità di avere un processo o di essere rinviati a giudizio, il tutto con la sola approvazione del ministro degli Interni dell'Irlanda del Nord. Una decisione pensata per indebolire moralmente e numericamente le fila delle organizzazioni nazionaliste irlandesi. Peraltro, come diretta conseguenza della sparatoria e della successiva decisione del governo di Londra di sciogliere il suo omologo nordirlandese per gestire direttamente l'ordine pubblico, centiniaia di sostenitori moderati della causa repubblicana radicalizzarono le loro posizioni, affiliandosi all'Ira e andando ad intensificare la lotta armata.

Per decenni l'esercito britannico, malgrado fosse stato più volte smentito dalle testimonianze di chi era presente quel giorno, ha sempre cercato di giustificare la strage asserendo come i soldati avessero semplicemente risposto al fuoco dei manifestanti armati, accusati di aver sparato per primi. Affermazioni avvalorate inizialmente anche da un'inchiesta del governo di Londra aperta immediatamente dopo la vicenda e nota come Widgery Tribunal, che scagionò totalmente i militari dalle accuse a loro carico ma che venne ritenuta da più parti - non ultimo dall'ex Primo Ministro Tony Blair - un insabbiamento volto a negare le reali colpe delle forze armate. Una successiva inchiesta, condotta dal giudice della Alta Corte Mark Oliver Saville dal 1998 al 2010, stabilì infatti come nessuno dei manifestanti presenti quel giorno fosse armato o rappresentasse una minaccia per i paracadutisti, ad eccezione del diciassettenne Gerard Donaghey che probabilmente, ma anche qui le opinioni sono discordanti, aveva con se alcune rudimentali bombe carta.

L'attuale esecutivo del Regno Unito, nella persona del ministro della Difesa Gavin Williamson, ha già affermato di essere al fianco del militare incriminato, garantendo il pieno supporto legale al fine di sostenere il processo: "Il benessere del nostro ex personale di servizio è una nostra massima priorità. I nostri reduci non possono vivere nella costante paura di un processo". Ancora oggi, molti cittadini del Regno Unito ritengono sia ingiusto perseguire i militari per avvenimenti accaduti 47 anni fa, soprattutto considerando l'immunità di cui attualmente godono gli ex militanti dell'Ira, grazie al cessate il fuoco imposto dagli Accordi del Venedì Santo del 1998 che sancirono formalmente la fine del conflitto nordirlandese.

Una ferita drammaticamente aperta a cui è stato imposto di rimarginarsi proprio nei fatidici giorni della Brexit, con il Regno Unito che allo stesso tempo dovrà gestire i conti col proprio passato e decidere cosa fare del proprio futuro.

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