Politica

Sull'Italia la spada di Moody's ma Borsa e spread non tremano

Attesa per il verdetto sul rating: viste le mine Brexit e dazi, l'agenzia potrebbe risparmiarci il livello «junk»

Moody's calerà la mannaia sull'Italia o si limiterà a rivedere le previsioni di crescita del Pil di fronte al rischio di elezioni anticipate? La domanda ha tenuto banco per l'intera seduta di ieri nelle sale operative in attesa dell'aggiornamento dell'agenzia di rating diffuso a mercati chiusi quando questo giornale era già andato in stampa. Tra gli analisti ieri circolava un cauto ottimismo: la minaccia di un'uscita dall'Euro è sfumata e i radar sembrano essersi spostati più su altre emergenze come Brexit e dazi. Basterà per non farci diventare «spazzatura»? In Piazza Affari, intanto, l'indice Ftse Mib ha chiuso con +0,8% a 21.045 punti. Quasi +15% da inizio anno e sui massimi da settembre 2018. Anche lo spread si è «calmato»: il 22 febbraio, quando Fitch ha confermato il rating, auspicando però una svolta politica, il differenziale tra Btp e Bund aveva chiuso aveva chiuso in rialzo a 275 punti base rispetto ai 270 della seduta del giorno prima, con un rendimento del decennale italiano pari al 2,84%. Ieri ha chiuso invariato rispetto a giovedì a 241 punti base, con un rendimento decennale al 2,50 per cento. Merito soprattutto della Bce e del suo annuncio che gli stimoli all'economia non si fermeranno.

Va, inoltre, ricordato che, mentre Standard&Poor's e Fitch ci danno ancora un doppio cuscinetto (due gradini) sopra il livello «spazzatura», Moody's era stata la più severa delle «sorelle» del rating, tenendo l'Italia a un passo dal temuto «non investment grade». A metà ottobre, l'agenzia Usa aveva infatti confermato un outlook stabile ma tagliato il suo voto alla solidità italiana, portando il giudizio a «Baa3» e mettendoci solo un gradino sopra il grado speculativo che si attribuisce ai Paesi che offrono alti rendimenti a fronte di maggiori rischi di non esser capaci di rimborsare i propri creditori.

In quel momento il governo era impegnato nella trattativa con l'Europa che stava portando lo spread tra Btp e Bund tedeschi su livelli di guardia. Poi Palazzo Chigi ha fatto retromarcia sui suoi obiettivi di deficit, la procedura d'infrazione di Bruxelles è rientrata e anche i timori di una «Italexit» si sono sopiti. E così anche sul cielo dei titoli di Stato è tornato un po' di sereno, anche se resta un conto miliardario da pagare nei prossimi anni per i livelli di rendimento che intanto sono stati raggiunti nelle aste di Btp. Non solo. Ai fantasmi dell'autunno si sono sostituiti oggi quelli della recessione. Per l'Ocse il Pil dell'intero 2019 avrà il segno meno davanti e l'Istat ci ha messo in recessione tecnica già con i segni negativi del terzo e quarto trimestre 2018. Lo stesso istituto di statistica ha stimato un aumento del 3,1% del fatturato dell'industria a gennaio rispetto al mese precedente mentre gli ordinativi sono saliti dell'1,8% ma la variazione congiunturale degli ultimi tre mesi rimane negativa. E sempre a gennaio Bankitalia ha registrato un nuovo record per il debito pubblico a 2.358 miliardi, ben 41,3 miliardi in più rispetto a dicembre. L'aumento di 44 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro (a fine mese risultavano pari a 79,1 miliardi) è stato solo in parte compensato dall'avanzo di cassa del mese (2,5 miliardi). Considerando che in Italia ci sono 25.386.000 famiglie, fa notare l'Unione Nazionale Consumatori, è come se ciascuna avesse 92mila euro di debito.

E se prendiamo come riferimento la popolazione residente è come se ogni italiano avesse un debito di 38 mila e 985 euro.

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