Controcultura

E se la fortuna fosse una maledizione?

E se la fortuna fosse una maledizione?

È naturale preoccuparsi quando le cose ci vanno sempre male, ma se ci andassero sempre bene? Questa semplice domanda è la trama di un bel romanzo di esordio: Benevolenza cosmica, di Fabio Bacà, edito da Adelphi. Al protagonista, Kurt O'Really, dirigente di un istituto di statistica, non è che non gliene va bene una, da un certo momento in poi tutto gli va bene, troppo bene, e rischia di impazzire, perché non riesce a trovare un senso logico a quanto gli accade. D'altra parte statisticamente può esistere un individuo a cui va sempre tutto male (la chiamiamo sfiga), come uno a cui va sempre tutto bene (lo chiamiamo culo), così come è possibile fare testa o croce con una moneta per cento volte e per cento volte ottenere sempre testa o sempre croce.

L'eroe di Bacà sa che c'è una probabilità su sette di morire di tumore, una su ventotto di morire per malattie croniche respiratorie, una su centododici di morire di un incidente stradale, una su centosessantacinquemila di morire colpito da un fulmine, ma comincia a credere di essere escluso da queste statistiche, a lui non succederà mai niente, una specie di Fantozzi al contrario. Kurt in un solo giorno guadagna quarantamila sterline in Borsa, ogni donna che incontra gli offre disponibilità sessuale, i tassisti non vogliono farlo mai pagare, finisce perfino nella traiettoria del proiettile di un poliziotto ma viene appena sfiorato, e lo Stato vuole ricoprirlo d'oro per risarcirlo. Cosa c'è sotto? O c'è qualcosa «sopra»? Si cercano varie spiegazioni, falle metafisiche nella struttura della realtà, il karma, un dio, ma la storia si infila di capitolo in capitolo in un esilarante labirinto di vicoli ciechi.

Benevolenza cosmica fa pensare a Cosmo di Witold Gombrowitz, dove ogni dettaglio, anche casuale, come un ramoscello spezzato, veniva interpretato come segno di qualcosa, infine arrivando solo a una serie di equivoci semantici, alla debolezza umana di dover dare un significato a tutto. È la morale della favola, metafora di Bacà della condizione umana, a cui perviene Kurt dopo rocambolesche peripezie, quando, chiedendo perdono alla figlia neonata, finalmente si sente compreso, perché la bambina gli concede un segno. «Era un rutto, credo.

Ma bisogna sapersi accontentare».

Commenti