Cultura e Spettacoli

La "modesta adunata" di rivoluzionari che lanciò Mussolini

Il 23 marzo 1919, una cinquantina (o poco più) di interventisti, repubblicani, socialisti, sindacalisti si riuniva a Milano in un circolo di Piazza San Sepolcro E Benito cominciò a essere il Duce

La "modesta adunata" di rivoluzionari che lanciò Mussolini

Non si sa neppure, in realtà, quanti e chi fossero stati i «sansepolcristi» cioè coloro che presero parte alla riunione dalla quale in quella domenica, primaverile ma piovosa, del 23 marzo 1919 prese vita il movimento fascista. La cifra più alta, a parte quanto si legge in alcuni rapporti di polizia che parlano di 300 persone, è quella indicata da Margherita Sarfatti nella biografia apologetica Dux pubblicata nel 1926. La storica amante e collaboratrice di Mussolini parla di una «modesta adunata» di 155 persone «riunite in una mediocre sala presa in affitto da un'associazione di piccoli commercianti, in un palazzo fuori mano della vecchia Milano, nella malinconica piazza del Santo Sepolcro: simbolico nome di catacomba». Dal canto suo Giorgio Alberto Chiurco in una minuziosa e cronachistica Storia della rivoluzione fascista elenca 119 nominativi. La cifra più bassa è, paradossalmente, di Mussolini che parla di sole 54 persone riferendosi, però, a coloro che «presero solenne impegno ad essere fedeli ai principi fondamentali del movimento».

Quale che sia il numero esatto dei partecipanti rimane il fatto che Mussolini dovette scegliere quella sala come ripiego. Nelle sue intenzioni, infatti, la convocazione di interventisti e combattenti lanciata dal Popolo d'Italia già da metà marzo, avrebbe dovuto avere luogo presso il teatro Dal Verme, uno dei maggiori di Milano con una capienza di circa duemila persone. All'ultimo momento, però, visto il numero esiguo delle adesioni e lo scarso interesse per l'avvenimento da parte di personalità di rilievo, Mussolini si mise alla ricerca di un locale più idoneo alle dimensioni dell'assemblea. Lo trovò grazie a Cesare Goldmann, presidente del Circolo degli Interessi Industriali e Commerciali, un entusiasta interventista triestino di idee democratico-radicali, che mise a disposizione una sala.

Fu così che un originale ed eterogeneo manipolo di individui che rivendicavano l'eredità dell'esperienza bellica, contestavano il sistema istituzionale e demonizzavano le scelte economico-sociali del dopoguerra si ritrovò in una sala non troppo grande, stipata, rumorosa, calda di fiati per discutere del futuro del Paese e dare vita a un nuovo movimento politico. L'avvenimento dovette apparire insolito e strano ai soci e frequentatori del circolo ospitante tant'è che, a quanto si racconta, molti di essi si affacciarono incuriositi, spesso per pochi minuti, sulla porta della stanza. Accadde anche che un negoziante di calzature, fermatosi sulla soglia ad ascoltare l'intervento di Mussolini, venisse scambiato per un personaggio illustre, il senatore Luigi Mangiagalli, il cui nome venne inserito tra i sansepolcristi. Cosa che, in seguito, salito il fascismo al potere, il celebre clinico, ormai fascista, si guardò bene dallo smentire.

Presiedette la riunione un personaggio singolare, il capitano degli Arditi, Ferruccio Vecchi, un combattente pluridecorato, futurista e compagno inseparabile di Filippo Tommaso Marinetti. Di lui si raccontavano cose incredibili. Per il fisico asciutto e snello, il volto triangolare e scavato con baffetti e pizzetto, assomigliava a uno dei moschettieri creati dalla fervida penna di Alexandre Dumas. Quel giorno, di sera, mentre gli altri congressisti se ne erano andati, si attardò nella saletta e, insieme con alcuni amici arditi, estratto un pugnale e conficcatolo su un gagliardetto, pronunciò un giuramento solenne: «Siamo pronti a difender l'Italia! Siamo pronti a uccidere e morire!». A loro si unì un altro congressista, il cremonese Roberto Farinacci, che, con fare ammiccante, mostrò agli amici, sollevando il calzone della gamba sinistra, una rivoltella infilata nella giarrettiera.

Il più illustre dei partecipanti all'adunata fu il fondatore del futurismo, Marinetti, il quale prese la parola dopo che Mussolini ebbe presentato, fra applausi vibranti, tre dichiarazioni, di sostegno alle richieste morali e materiali dei combattenti, di supporto alle rivendicazioni territoriali italiane, di impegno a sabotare le candidature politiche dei neutralisti. Anche un altro esponente dell'arditismo, Mario Carli, che in seguito avrebbe fondato e diretto il quotidiano L'impero, intervenne nella seduta antimeridiana portando l'adesione di personalità del mondo della cultura che non erano potute intervenire, dal giornalista e scrittore ebreo goriziano Enrico Rocca al pittore fiorentino Ottone Rosai.

Proprio arditi e futuristi, ex combattenti o interventisti, furono il nucleo dei sansepolcristi, ma non mancarono repubblicani, socialisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici. Renzo De Felice ha suddiviso l'eterogeneo mondo dei sansepolcristi in due categorie: la «vecchia guardia» interventista rivoluzionaria che già nel 1914-15 aveva dato vita ai Fasci d'azione rivoluzionaria e una seconda componente, fatta di «trinceristi» e di ex combattenti, fra i quali rientravano, per l'appunto, arditi e futuristi. Un'assenza eclatante alla riunione del 23 marzo fu quella di un nome mitico del rivoluzionarismo italiano, Alceste De Ambris che avrebbe, però, contribuito a stilare il programma dei fasci di combattimento pubblicato qualche mese dopo sul quotidiano Il Popolo d'Italia e che sarebbe poi diventato antifascista.

Peraltro, le linee fondamentali del programma dei costituendi Fasci di combattimento le enunciò lo stesso Mussolini nel suo secondo intervento nella seduta pomeridiana: scelta repubblicana, abolizione del Senato, suffragio universale esteso alle donne, rappresentanza diretta degli interessi. Nello stesso intervento egli si dichiarò avverso ad ogni tipo di regime dittatoriale: «Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura, da quelle della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo solo la dittatura della volontà e dell'intelligenza». Le cose, com'è noto, andarono diversamente a riprova del fatto che il fascismo delle origini fu diverso da quello poi realizzato.

Ha scritto Cesare Rossi, all'epoca uno dei più fidati collaboratori di Mussolini in seguito coinvolto nello scandalo seguito al delitto Matteotti, che la riunione del 23 marzo 1919 fu «trascurabile dal punto di vista numerico e qualitativo» e che «un terzo almeno dei suoi aderenti in seguito passò all'antifascismo». In effetti, come avrebbe dimostrato la ricerca storica a cominciare da Renzo De Felice, la riunione di piazza San Sepolcro più che la nascita di un partito fu l'occasione, nel clima torbido dell'immediato dopoguerra, per l'incontro di persone eterogenee che si ritrovarono attorno a un programma genericamente orientato a sinistra che esprimeva le istanze di tutto il rivoluzionarismo non inquadrato nelle file del partito socialista. Non è un caso che la stampa, con la sola eccezione del quotidiano mussoliniano, facesse passare sotto silenzio l'avvenimento. Lì, nella piccola sala del palazzo milanese, non venne, insomma, fondato un partito vero e proprio, ma venne, piuttosto, lanciato un movimento che solo due anni più tardi avrebbe assunto le caratteristiche di una struttura partitica.

Eppure, non a torto, la data del 23 marzo 1919 avrebbe assunto un valore simbolico nella auto-rappresentazione «mitologica» del fascismo.

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