Politica

Londra tenta la Brexit lenta May tra resistenza e addio

I deputati al voto su diverse opzioni. Ma la premier: non mi sento vincolata. Voci di dimissioni ed elezioni

Gaia Cesare

Alla fine si è arrivati all'inciampo previsto da Theresa May: senza una maggioranza sulla sua Brexit, il Parlamento si dirige verso un'uscita slow, lenta (ecco il nuovo termine in voga a Londra) e di conseguenza verso la prospettiva di un lungo rinvio, fino a nessuna Brexit. Dopo il voto di lunedì sera, con cui la Camera dei Comuni ha scippato alla premier la conduzione delle trattative tramite l'emendamento Letwin, i deputati si pronunceranno oggi con una serie di voti indicativi, non vincolanti, per verificare quali opzioni avranno maggior consenso e che indirizzo dare alla Brexit. Le più votate finiranno lunedì prossimo nuovamente al vaglio dei parlamentari per la scelta finale. Tutti gli scenari restano possibili, comprese le elezioni anticipate o un cambio a Downing Street se May decidesse di dimettersi pur di far passare la sua intesa quando parlerà nel pomeriggio al Comitato 1922, il gruppo parlamentare conservatore alla Camera. Ma almeno un paio delle sette opzioni più quotate al vaglio dei deputati prevedono, oltre alla permanenza nell'unione doganale, anche quella nel mercato unico, una Brexit super soft, fumo negli occhi per i falchi anti-Ue.

Perciò l'arcinemico di Bruxelles, il deputato ultraconservatore Jacob Rees Mogg, dopo mesi di muro, alla fine ha ceduto: «Meglio il piano della May che nessuna Brexit» ha fatto sapere. Una capitolazione che rischia di arrivare davvero troppo tardi. Perché gli unionisti nord-irlandesi del Dup, stampella del governo, hanno invece ribadito il loro No, anzi hanno precisato che «un ritardo di un anno della Brexit è meglio del piano May». Alla premier mancano una settantina di deputati per il terzo voto decisivo sul piano concordato con la Ue. Senza la certezza che l'intesa riceva il via libera, la premier ha già detto che non chiamerà i parlamentari a pronunciarsi. Anzi potrebbe liberare la poltrona ora che all'orizzonte si profila una lenta Brexit, che lei ha già detto di non voler condurre.

A questo punto dovrebbe essere no deal, uscita senza accordo o hard Brexit, come stabilito dall'ultimo Consiglio europeo, che ha dato tempo a Londra fino a venerdì per votare l'intesa e uscire dalla Ue il 22 maggio con il via libera di Westminster oppure uscire senza intesa il 12 aprile. Theresa May ha escluso che l'addio con no deal ci sarà: «Non succederà a meno che il Parlamento non voti a favore». Tutto si gioca in questa ennesima giornata campale segnata da una novità: ai parlamentari saranno consegnate schede cartacee e avranno mezz'ora per decidere a partire dalle 20 ora italiana. I risultati saranno annunciati alle nostre 21.30.

Quali sono le 7 opzioni sul tavolo, che saranno selezionate dallo Speaker Bercow? Si comincia con il no deal, che già il Parlamento ha bocciato ed è improbabile passi. In ballo c'è sempre il piano May (rigettato a gennaio con 230 voti e a marzo con 149). Poi ci sono le eventualità che potrebbero far gola alla maggioranza dei deputati. A cominciare dall'accordo May-Ue più l'unione doganale, che piacerebbe ai laburisti e ai Conservatori favorevoli a un'uscita soft ma non necessariamente a chi è convinto che non abbia senso lasciare la Ue per rimanere comunque legati alla Ue. I deputati valuteranno anche l'accordo modello Canada, un'intesa di libero scambio a cui si sono detti favorevoli anche gli euroscettici. Il problema è che finora la Ue non si è dimostrata ben disposta verso questa opzione, che non risolve la questione del confine irlandese. Poi c'è l'ipotesi del cosiddetto mercato unico 2.0 o modello Norvegia plus, la somma dell'accordo della May, con permanenza sia nell'unione doganale che nel mercato unico, che lascerebbe però aperto il problema del controllo delle frontiere e della libera circolazione delle persone. Infine la minaccia che aleggia nell'aria e fa fregare le mani dalle parti di Bruxelles: il secondo referendum, per il quale il responsabile Brexit per l'Europarlamento Guy Verhofstad ha parlato compiaciuto di una «vera rivolta» in corso. Se non addirittura la revoca dell'articolo 50, addio alla Brexit. Il problema è che Theresa May ha già fatto sapere di non sentirsi affatto vincolata da ciò che deciderà il Parlamento, specie se non rispetterà i programmi dei partiti alle ultime elezioni e i paletti già messi dalla Ue. Uno scontro costituzionale annunciato.

Sempre che Lady May sarà ancora in sella.

Commenti