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May offre la sua testa. Ma sulla Brexit è stallo in Parlamento

La premier: "Lascio se votate il mio piano". In Aula bocciate le 8 alternative: non c'è piano B

May offre la sua testa. Ma sulla Brexit è stallo in Parlamento

Un disastro politico. Un colpo di scena che arriva ancora una volta a notte (le 23 circa in Italia) quando si scopre che il Parlamento inglese, convinto di prendere il controllo della Brexit, ha bocciato tutte le otto strade alternative al piano May proposte proprio dalla Camera, dal no deal alla permanenza nell'unione doganale al secondo referendum al mercato unico. I deputati inglesi certificano un fiasco politico e dimostrano di non avere un piano B chiaro, anche se mostrano di avere una preferenza per un'uscita dalla Ue con un'unione doganale (264 sì e 272 no) e per un secondo referendum sull'accordo di ritiro (268 sì e 295 no). Lo fanno alla fine dell'ennesima giornata drammatica, in cui la premier Theresa May si è offerta come agnello sacrificale promettendo di dimettersi pur di convincere la sua maggioranza di governo a far passare l'accordo che lei ha già concordato con la Ue. È la prova che la Brexit, semmai si realizzerà, è un fallimento nazionale di cui l'unico colpevole non è il governo ma un Parlamento incapace di esprimere una maggioranza chiara, come ha accusato qualche giorno fa Theresa May facendo infuriare i parlamentari. Perciò il ministro per la Brexit Steven Barclay sottolinea: «Il piano May-Ue è ancora il migliore».

In un'ultima mossa disperata la premier ha promesso ieri: «Votate il mio accordo con la Ue e quando la Brexit sarà portata a compimento me ne andrò da Downing Sreet in modo da fare quel che è giusto per il partito e per il Paese». Questa la sintesi dell'intervento sofferto che il primo ministro ha riservato al Comitato 1922, il gruppo parlamentare conservatore alla Camera, incontrato nel tardo pomeriggio. «Non guiderò la prossima fase dei negoziati sulla Brexit», ha garantito May, lasciando campo libero al suo successore di gestire la fase delle trattative sull'eventuale futuro accordo commerciale con Bruxelles. «So che c'è il desiderio di un nuovo approccio», ammette. Un nuovo premier potrebbe entrare a Downing Street già a luglio e la sfida nel partito aprirsi il 22 maggio.

È la prova che il mandato di Theresa May, la cui fine lei stessa aveva fissato in precedenza entro il 2022 (prossime elezioni) va avanti con un solo scopo: realizzare l'uscita dall'Unione europea e farlo in maniera ordinata entro il 22 maggio, come ha stabilito il Consiglio europeo se il Parlamento darà luce verde all'intesa (la data è stata fissata ieri per legge dai deputati inglesi). La premier dalle sette vite si gioca dunque la sua settima e definitiva esistenza politica nel disperato tentativo di convincere i falchi anti-Europa e i Leavers laburisti a dare il via libera all'intesa entro venerdì. Il 29 marzo, la data inizialmente fissata per l'uscita, è diventato adesso il giorno ultimo fissato dalla Ue perché i parlamentari diano la loro benedizione all'accordo, che arriverebbe comunque con due mesi di ritardo. Altrimenti, se l'Aula lo boccerà, sarà addio senza intesa, no deal, ma il 12 aprile. L'uscita di scena di May, più che volontaria, è la condizione posta dagli «anziani» tory per dare un'ultima chance al suo piano, bocciato due volte in Parlamento, a gennaio e a metà marzo.

Basterà a salvare la sua Brexit? Alla premier l'ultima volta sono mancati 149 voti, 75 dei quali conservatori. I falchi come Jacob-Rees Mogg, Boris Johnson e una trentina di Brexemists in tutto hanno annunciato un voto favorevole, pur di evitare il rischio di far slittare talmente in avanti la Brexit da non portarla più nemmeno a compimento. Ma il partito nord-irlandese Dup ha mandato in soffitta le speranze della May dicendo che no, la sua opposizione resta. L'impresa appare ancora ardua, l'ostacolo insormontabile. E non è il solo lungo la strada. Perché nel frattempo lo Speaker della Camera John Bercow ha ribadito che senza modifiche sostanziali al testo della mozione che il governo intende presentare in Aula, lui non consentirà un terzo voto su una mozione già bocciata due volte dalla Camera. «Mi aspetto che il governo passi il test del cambiamento» ha detto chiaramente Bercow. L'esecutivo tenterà il tutto per tutto entro domani, come ha già confermato, annunciando una mozione all'ultimo giorno utile.

Se però il piano May non andasse in porto, Westminster ha dimostrato di non essere capace di esprimere un «piano B».

I deputati, investiti dall'emendamento Letwin della possibilità di indicare vie alternative alla Brexit, dall'unione doganale permanente al modello Norvegia, nonostante tutto, alla fine non sono stati capaci di esprimere una linea chiara.

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