Cultura e Spettacoli

Eschilo razzista, sei il primo della lista!

Eschilo razzista, sei il primo della  lista!

Sì, è una tragedia. La messa in scena delle Supplici di Eschilo - siamo nel 463 a.C., cioè circa 2.500 anni fa - è stata cancellata all'Università La Sorbona di Parigi per la protesta di un gruppo di studenti che accusa l'opera di razzismo. Lo spettacolo, riferiva ieri Le Monde e a ruota i siti di molti giornali, francesi e non, doveva andare in scena lunedì. Doveva. Poi una cinquantina di attivisti della «Ligue de défense noire africaine» (Ldna), della Brigade anti-négrophobie e del «Conseil représentatif des associations noires» (Cran) ha accusato la pièce di «propaganda coloniale». La ragione? Alcuni personaggi in scena indossano maschere bianche, mentre altri (le Danaidi) usano trucco e maschere scure. L'autore forse non se ne è accorto, ieri, ma oggi sta offendo qualcuno. «Eschilo razzista, sei il primo della lista». In realtà lo spettacolo segue una prassi consolidata nella messa in scena dell'opera, da due millenni e mezzo. Si chiama «tradizione» teatrale (anche se la parola può sembrare un'offesa).

Ma guarda quel reazionario di Eschilo! Come è potuto venire in mente a quello sporco razzista di un attico di usare delle maschere nere per identificare le egizie e delle maschere bianche per i greci? Comunque, a causa delle contestazioni, il regista Philippe Brunet (francese da parte di padre, giapponese di madre, insomma un meticcio) ha dovuto dare forfeit e gli attori hanno lasciato il palco perché impossibilitati a proseguire la recita. Gettando quindi - e non solo metaforicamente - la maschera, quel travestimento così odioso, ma così essenziale nella tragedia greca, che con le sue caratteristiche esagerate da qualche secolo in qua permette agli attori di essere visti da lontano e di poter interpretare più personaggi sullo stesso palcoscenico. Liberté, égalité, diversité. Nella Grecia antica erano messi molto meglio in quanto a libertà di pensiero. Ecco la moderna, progressista, rispettosa cultura occidentale che permette agli studenti di confrontarsi in un dialogo civile e tollerante con un tragediografo greco. Che voleva erudire i giovani, e si ritrova messo in castigo. Che fallimento. Tempo fa un intellettuale molto più liberal di me disse: «Non acconsentirò mai al rischio che con la scusa di combattere la deriva del politicamente corretto si finisca con lo sdoganare l'offesa facile verso qualcuno».

E sì che mi aveva quasi convinto.

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