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Theresa, quarto premier bruciato dall'Ue. Per i leader tory l'Europa è maledetta

Da Heath a Cameron, passando per la Thatcher: 40 anni di sfide perse

Theresa, quarto premier bruciato dall'Ue.  Per i leader tory l'Europa è maledetta

Raccontano che al momento dell'annuncio, l'ex ministro per la Brexit David Davis, anche lui vittima collaterale della Brexit, era seduto per terra, tanto la stanza era piena. Il ministro per lo Sviluppo internazionale Penny Mordaunt bloccato invece in corridoio, costretto a sentire dal buco della serratura. Trecento deputati conservatori ammassati per sentire il discorso di Theresa May nello stesso luogo in cui si decisero le sorti di Margaret Thatcher, scivolata sull'Europa 29 anni prima: la stanza 14 del Comitato 1922, il gruppo Tory alla Camera. «Sono pronta a lasciare in anticipo in modo da fare quel che è giusto per il nostro Paese e il nostro partito», ha detto Lady May offrendo la sua poltrona, la sua carriera e il suo nome per la causa che attanaglia la nazione ed è ormai la sua ossessione: la Brexit ordinata che lei definisce «un compito storico». «L'atmosfera era emotivamente carica» hanno riferito i presenti. Qualche deputato ha pianto e un paio hanno rotto gli indugi, annunciando subito la retromarcia e il voto favorevole al piano concordato con la Ue.

Eppure per Theresa May è finita. Questione di giorni, forse settimane, se non addirittura ore, semmai il suo sacrificio non bastasse. Una leader incastrata, vocata e immolata per un solo compito, il più arduo, che lei ha interpretato come una missione: portare il Regno Unito fuori dalla Ue con un accordo. Un'impresa che fa a pugni con il suo stato di salute, quel diabete di tipo 1 che dovrebbe spingerla a evitare situazioni di stress. Una missione nella quale lei voleva rendere possibile quello che ormai appare impossibile: unire sul dossier che da oltre quarant'anni divide il Regno Unito e lacera il Partito conservatore. Così Londra conterà a breve il terzo premier in tre anni e il quarto a scivolare sull'Europa in quasi mezzo secolo.

Tutta colpa del «Superstato», come Margaret Thatcher chiamò l'Unione europea nel suo discorso di Bruges (era il 1988) considerato l'alba della Brexit e l'inizio della fine per la Lady di ferro fagocitata anche lei dall'Europa, il pomo della discordia diventato mela avvelenata. «Rivoglio indietro i miei soldi» diceva Lady Thatcher otto anni prima, trasformando la richiesta di uno sconto sulla contribuzione alla Cee in un mantra sopravvissuto per quattro decenni. Eppure gli eurofili conservatori gliela giurarono. Le dimissioni del suo vice sir Geoffrey Howe, in polemica con l'euroscetticismo della Lady di ferro, fecero il resto. Il partito la scaricò a sorpresa nel 1990. Contrappasso dopo il suo avvento che segnò una svolta con l'epoca europeista di Edward Heath, il primo ministro che, a mandato finito, ebbe un ruolo fondamentale in un altro referendum, quello in cui gli inglesi confermarono nel 1975, a larga maggioranza (67%), la volontà di restare nella Comunità europea.

Ora David Cameron spiega che il partito non è nemmeno più diviso in due, contrari e favorevoli all'Europa, ma in quattro: pro-accordo, no accordo, favorevoli al secondo referendum e sostenitori di una Brexit blanda. Cameron suggerisce a Lady May di tentare il tutto per tutto per trovare un compromesso fra almeno un paio di quelle anime. Ma quanto può valere il consiglio del premier che ha sbagliato il calcolo politico decisivo per il futuro della Gran Bretagna? Cameron annunciò di voler concedere il referendum pensando che i Liberaldemocratici, allora suoi alleati di governo, si sarebbero poi opposti all'iniziativa. Stravinse le elezioni, gli toccò governare da solo e portare gli inglesi alle urne. Il resto è cronaca.

E Cameron relegato al triste elenco dei premier bruciati dalla battaglia sull'Europa.

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