Cultura e Spettacoli

Quando Léon Bloy si mise a scrutare l'anima di Napoleone

Léon Bloy (1846-1917) nel 1912 pubblicò "L'anima di Napoleone", uscito in Itlia nel 1939 (Rinascimento del Libro) e poi nel '60 (Edizioni Paoline), in cui scrive che Napoleone è uno strumento inconsapevole della Provvidenza, ovvero "la faccia di Dio nelle tenebre. Oggi il testo torna nella prima traduzione di Domenico Giuliotti (Medusa). Ne anticipiamo qui un brano

Quando Léon Bloy si mise a scrutare l'anima di Napoleone

Le testimonianze storiche sono abbastanza chiare. Configuratore e Regolatore di quella rivoluzione che mutava la faccia del mondo, Napoleone ebbe contro di sé, necessariamente, tutte le Tradizioni anteriori. Tutte le cose del Passato doverono naturalmente precipitarsi verso di lui e su lui, come torrenti innumerevoli attirati da un unico abisso.

Invano tentò d'impadronirsene e farli servire ai suoi fini con lo spostare tutte le frontiere, col creare nuovi re e nuovi popoli e col far datare da se stesso una nuova êra. Le cose gli obbedirono meno degli uomini, ed è inconcepibile che vi fosse un'anima nel mondo, un'anima sola, la sua, orgogliosa, amorosa e sofferente come le altre, la quale potesse sostenere tutto ciò; un'anima eccessivamente smisurata, ma assolutamente unica per destinazione, in cui fu necessario che si concentrasse lo sforzo d'una resistenza continua a tutte le anime che, simili a perfide cavalle o a giumente selvatiche, era indispensabile domare ogni giorno. A costo di sembrar paradossale oso pronunziare la parola disinteresse. Quale poteva essere, in fondo, l'interesse, o quali potevano essere gli interessi d'un uomo arrivato a un'altezza tanto prodigiosa? Quale ambizione avrebbe potuto concepire se non d'essere o di restare ciò che già era (anche nei limbi del suo destino) dacché l'avvenire, nel senso ordinario, è una parola senza significato, quando si parla di tali modelli dell'umanità? Al culmine di tutto, nell'età di 38 anni, sazio d'ogni cosa che può far palpitare, più non gli restava che farsi adorare come un re pagano, se la sua inaudita potenza avesse potuto prevalere contro la goccia d'acqua del suo battesimo!

Certo, fu un disinteresse secondo la sua misura, anzi completamente fuor di misura; e ciò non precisamente per disprezzo o per sazietà, ma perché (quest'uomo-istrumento) non ebbe il tempo di cercare ciò che gli avrebbe potuto esser profittevole. Egli ebbe il disinteresse del vero soldato che adempie una consegna pericolosa senza che gli passi neppur per la mente che la propria obbedienza possa sembrare eroica. Non sapendo dove lo trasportasse una volontà misteriosa di cui non si sognava neppure di discutere le esigenze, e non riservandosi che la responsabilità più completa che un mortale abbia mai assunto, gli parve naturale d'esigere l'assoluto disinteresse di più milioni di creature ch'egli colmava di gloria e alle quali non aveva altra cosa da poter donare; e tuttavia, nello stesso tempo, indovinava benissimo che quegli strumenti inferiori della Forza irresistibile di cui subiva l'impulso, muovevano come lui, e con lo stesso passo, verso il compimento ineluttabile di un Disegno che oltrepassava la comprensione del suo genio. Tutto era contro di lui; tutte le anime contro un'anima sola! (...) È dunque ragionevole il pensare che Napoleone, anche nei giorni dei suoi più splendidi trionfi, fu un uomo segretamente ma profondamente infelice, dacché la felicità, o ciò che in questa vita vien chiamato la felicità, non è che una combinazione, del resto illusoria, di soddisfazioni mediocri e di guadagni effimeri.

Cose dunque che non posson convenire a un grand'uomo; e soprattutto che non potevano convenire al più grande degli uomini.

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